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La violenza contro i bambini e l’odio
violenza bambini mamma sculaccia figlia

Quello dell’educazione violenta è il tema – scottante – del nostro prossimo libro in uscita, La sculacciata, dove si affronta la questione delle “botte a fin di bene” e si cerca di sradicare la cultura, troppo diffusa, secondo cui è giusto – quando ci vuole – colpire un bambino per educarlo.

Confrontandosi quotidianamente con genitori, nonni, zii, educatori, non è raro constatare quanto questo atteggiamento sia giustificato e condiviso. Quanto molti di noi – picchiati a nostra volta dai nostri genitori – troviamo plausibile infliggere il medesimo trattamento ai nostri figli.

“Uno sculaccione non ha mai fatto male a nessuno”

“Una sberla ogni tanto ci vuole”

“Ringrazio mio padre dei ceffoni che mi ha rifilato”

Risposte che ci sentiamo dare più che sovente, spesso le nostre stesse risposte…Chiediamoci perché si ritiene giusto dissuadere un bambino (indifeso) con la forza (le botte, le sculacciate, gli schiaffi), e condannare lo stesso tipo di reazione se rivolta a un adulto nostro pari…

E poi, chiediamoci se siamo davvero certi che quel tipo di educazione – da noi subita, da noi inflitta – non produca ferite e traumi indelebili nell’anima del bambino maltrattato…

A tal proposito vogliamo condividere con voi questo illuminante pezzo di Alice Miller, tradotto per noi da Chiara Pagliarini, dove  si parla di violenza sui bambini e delle conseguenze emotive da essa prodotte, ossia un odio difficile da riconoscere e – quindi – da elaborare e risolvere.

Con il serio rischio di perpetrare il medesimo comportamento violento sui propri figli…

Buona lettura (e riflessione)

COS’È L’ODIO?
di Alice Miller

Si è soliti associare la parola odio all’idea di una maledizione pericolosa che bisognerebbe allontanare il più in fretta possibile.  Spesso si sente anche dire che l’odio sarebbe per l’individuo un veleno che renderebbe praticamente impossibile la guarigione delle ferite ricevute durante l’infanzia. Poiché mi dissocio in pieno con questa opinione corrente, mi capita spesso di essere fraintesa. Di conseguenza i miei sforzi per far luce su questo fenomeno e per approfondire questo concetto finora non hanno avuto molto successo.
Ecco perché consiglio di leggere il primo capitolo del mio libro”Le vie della vita dal titolo “Come nasce l’odio?”, a chi volesse seguirmi in questo ragionamento. Devo dire inoltre che in questo capitolo, scritto nel 1996, vi è una riflessione nella quale vedo ora la tendenza universale a proteggere a tutti i costi i genitori, di cui nel frattempo mi sono liberata (vedi La rivolta del corpo. Come superare i danni di un’educazione violenta, 2005, Cortina Raffaello editore).

Anch’io penso che l’odio possa avvelenare un corpo, ma solo fintanto che rimane inconscio e rivolto contro dei sostituti, ovvero verso dei capri espiatori.  In tal modo non può dissolversi e scomparire. Supponiamo che io odii i lavoratori immigrati, ma che non riesca a vedere come i miei genitori mi hanno trattato quando ero bambina, ad esempio come mi lasciassero piangere da neonata per ore, o non mi guardassero mai con amore, soffro dunque di un odio latente che mi può accompagnare per tutta la vita, e innescare nel mio corpo una varietà di sintomi.

Ma se conosco il male che i miei genitori mi hanno fatto a causa della loro cecità, e ho potuto sentire consciamente la mia rivolta verso il loro comportamento, non ho bisogno di rivolgere il mio odio nei confronti di persone che non c’entrano niente.  Col tempo, l’odio che provo verso i miei genitori potrà attenuarsi e anche scomparire per periodi più o meno lunghi, ma gli eventi della vita o il riaffiorare di ricordi da una nuova angolazione potranno risvegliarlo improvvisamente.

Ma adesso so di cosa si tratta. Ora mi conosco abbastanza bene, proprio grazie ai sentimenti che ho rivissuto e L’ODIO NON MI SPINGERÀ A UCCIDERE NESSUNO, NÉ AD AVERE PREGIUDIZI VERSO CHICCHESSIA.

Spesso troviamo persone che ringraziano i genitori per le botte ricevute, o che affermano di aver dimenticato da molto la violenza sessuale di cui sono state vittime e hanno perdonato tutti questi “peccati” nelle loro preghiere, ma che sono capaci di allevare i figli solo in modo violento e/o di abusarli sessualmente. I pedofili ostentano il loro amore per i bambini ma non sanno che in fondo si stanno vendicando per quello che è successo a loro quando erano bambini.

Anche se non sono consapevoli di provare questo odio, sono soggetti ai suoi dettami. Questo odio LATENTE è davvero pericoloso e difficile da rimuovere perché non è diretto contro la persona che lo ha causato, ma contro dei sostituti. Esso può mantenersi per tutta la vita, cristallizzato in varie forme di perversione, e rappresenta una minaccia per il prossimo, ma in certi casi anche per la stessa persona.
Altra cosa invece quando si tratta di odio COSCIENTE, REATTIVO, che, come qualsiasi sentimento, può affievolirsi una volta rivissuto. Quando ci decidiamo a riconoscere chiaramente che in alcune situazioni siamo stati trattati in modo sadico dai nostri genitori, sentiamo crescere l’odio dentro di noi. Come ho già detto, con il tempo esso si può attenuare o scomparire del tutto, ma non si tratta di un’operazione che si fa in una sola volta. L’entità dei maltrattamenti subìti dal bambino non si può misurare a colpo d’occhio. Si può fare solo nel corso di un lungo processo, durante il quale, uno dopo l’altro, i diversi aspetti del maltrattamento sono autorizzati a risalire alla coscienza, così che l’odio possa riemergere. Solo allora l’odio non è pericoloso. Si tratta di una conseguenza logica di ciò che si è subito un tempo, e che viene compreso in tutti i suoi aspetti solo ora dall’adulto, mentre il bambino ha dovuto sopportarne il peso silenziosamente negli anni.
Oltre all’odio reattivo contro i genitori e l’odio latente, trasferito contro dei capri espiatori, troviamo l’odio giustificato contro una persona che ci tormenta nel presente, sul piano fisico o psichico, una persona che ci tiene in suo potere e di cui non possiamo liberarci, o di cui pensiamo di non poterci liberare. Fintanto che ne siamo dipendenti, o pensiamo di esserlo, non possiamo fare altro che odiarla. Ci farebbe pena immaginare un uomo che subisse torture e che non provasse odio verso il suo torturatore. Se si impedisse di provare questo sentimento, ne subirebbe gli effetti sulla sua pelle.

Nelle biografie dei martiri cristiani che sopravvissero alle torture troviamo descrizioni di malattie spaventose, che in modo rivelatorio sono spesso malattie della pelle. Il corpo resiste in questo modo al tradimento del Sé, poiché i “santi” dovevano perdonare i loro persecutori, la loro pelle era la viva testimonianza della forza della loro rabbia soffocata.
Tuttavia, riuscire a sfuggire al potere del torturatore non significa essere condannati a convivere quotidianamente con l’odio. Di certo il ricordo dell’impotenza e delle sofferenze può sempre ritornare. Ma col tempo è verosimile che l’intensità dell’odio diminuisca (ho sviluppato questo aspetto nel mio libro La rivolta del corpo sopra citato).
L’odio è soltanto un sentimento, per quanto forte e vitale, e come qualsiasi sentimento, ci dice che siamo vivi. Ecco perché bisogna pagarne il prezzo quando tentiamo di reprimerlo. Poiché l’odio ha qualcosa da dirci, sulle nostre ferite ma anche su di noi, sui nostri valori, la nostra sensibilità, e dobbiamo imparare ad ascoltarlo e a comprendere il significato del suo messaggio. Se ci riusciamo, non abbiamo più da temere. Se ad esempio odiamo la doppiezza, l’ipocrisia e le bugie, ci concediamo il diritto di combattere lì dove è possibile, o di rifiutarci di frequentare persone che confidino solo sulla menzogna. Ma se facciamo finta che la cosa non ci tocchi, tradiamo noi stessi.

Il bisogno del perdono, che troviamo quasi ovunque nonostante la sua carica distruttrice, incoraggia questo tradimento del Sé. Raccomandato sia dalla religione che dalla morale tradizionale, esso viene purtroppo presentato in diversi tipi di terapia come una via di “guarigione”. Mentre è facile provare che né le preghiere né gli esercizi di autosuggestione cari al “pensiero positivo” possono cancellare le legittime reazioni vitali di difesa del corpo di fronte alle umiliazioni e altri attacchi precoci all’integrità del bambino. Le malattie atroci dei martiri sopravvissuti alle torture indicano con precisione il prezzo da pagare per la rimozione dei sentimenti. Non sarebbe più semplice allora chiedersi contro chi tale odio è in realtà diretto, e vedere perché in sostanza è legittimo? In questa ipotesi ci diamo la possibilità di vivere in modo responsabile con i nostri sentimenti, senza respingerli e senza dover pagare questa “virtù” con delle malattie.
Sarei molto diffidente se un terapeuta mi promettesse che alla fine del trattamento (nel caso anche grazie al perdono) mi sarò sbarazzata di sentimenti spiacevoli come la collera, il furore o l’odio. Che essere umano sarei, se non potessi reagire interiormente in modo passeggero con la collera all’ingiustizia, alla pretesa, alla cattiveria o alla stupidità arrogante? La mia vita affettiva non sarebbe amputata? Se la terapia mi avesse aiutato, dovrei aver accesso per il resto della vita a TUTTI i miei sentimenti, e accedere anche in modo cosciente alla mia storia, cosa che mi darebbe la spiegazione dell’intensità delle mie reazioni. Ciò attenuerebbe abbastanza in fretta questa intensità senza lasciare nel corpo gravi strascichi solitamente generati dalla repressione delle emozioni che non sono potute risalire alla coscienza.
In terapia, posso imparare a capire i miei sentimenti, a non disapprovarli, a considerarli come amici e protettori anziché temerli come nemici da combattere. Anche se ciò che abbiamo imparato dai nostri genitori, dai professori e dai preti ci fa finire per ammettere che l’auto amputazione alla quale queste persone si sono consegnate è pericolosa. E noi stessi siamo stati senza dubbio vittime di questa mutilazione.
Ci sono Paesi dove le botte sono parte integrante dei “metodi educativi” in vigore nelle scuole. Ma nessun insegnante picchia gli alunni se non è stato a sua volta picchiato e se da bambino non ha dovuto imparare a reprimere la collera. La trasferisce in seguito sulla classe, senza sapere perché lo fa. Credo che la coscienza di ciò che accade per lui in quel momento potrebbe preservare molti bambini da questa brutalità, così come se gli uomini di Stato avessero la piena coscienza di ciò che è stata la loro storia personale, molti popoli scamperebbero alla loro cecità e crudeltà.
I nostri sentimenti non rappresentano un pericolo per noi e per chi ci circonda, il pericolo viene viceversa quando ci distacchiamo da essi per paura. Questo produce degli esaltati, dei kamikaze e tutti quei tribunali dove non si vuole sapere niente delle cause reali dei crimini, così da preservare i genitori dei delinquenti e lasciarli all’ombra della propria storia.

Traduzione di Chiara Pagliarini
Testo originale: www.alice-miller.com

Commenti (2)

    • Elena

    • 11 anni fa

    in un quotidiano di Vicenza, pochi giorni fa, era riportata una notizia che fa urlare dalla rabbia: “il tribunale si schiera dalla parte dei metodi educativi violenti perchè giustificati dal fine educativo”…io non ho parole. Breve riassunto per chi non ha letto la notizia: papà separato denuncia i suoceri per maltrattamenti nei confronti del nipotino di 4 anni. Questi “adorabili nonnini” per “raddrizzare il carattere” un pò vivace del bimbo usavano schiaffi,sculacciate, a letto senza cena e lo facevano stare fuori al freddo se questo non si comportava come volevano. Il giudice ha dato loro ragione perchè il fine era educativo. Ma come si fa??

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