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Bambino celiaco: i benefici dell’allattamento
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Sappiamo che il glutine, formato dalle proteine presenti nel frumento e in altri cereali, provoca la celiachia. E sappiamo anche che il modo per curare questa malattia è una dieta priva di glutine. Ma la diffusione della celiachia è in rapido aumento e in soli 50 anni è quadruplicata negli Stati Uniti, creando non poco sconcerto.

Gli scienziati avanzano alcune ipotesi interessanti sul bambino celiaco: Secondo una di queste l’allattamento potrebbe proteggere dalla malattia. Un’altra ipotesi è che abbiamo trascurato  l’abbondante ecosistema microbico intestinale, ossia quei batteri che potrebbero avere un ruolo nel determinare la capacità del sistema immunitario di trattare il glutine come cibo o come invasore letale.

La celiachia è considerata di norma una malattia autoimmune. Quasi tutte le persone che ne sono affette hanno una o due versioni di un recettore cellulare chiamato antigene leucocitario umano o HLA, che si pensa sia capace di incrementare in modo naturale la risposta immunitaria al glutine.

Tuttavia, appena il 30% della popolazione di stirpe europea è portatrice dei geni che predispongono alla malattia, mentre più del 95% dei portatori tollera bene il glutine. Pertanto, anche se la presenza dei geni e del glutine è necessaria perché si scateni la malattia, è evidente che non basta per causarla.

Gli scienziati utilizzano la presenza di determinati anticorpi autoimmuni per predire la celiachia. Hanno analizzato il siero conservato sin dalla metà del ventesimo secolo e lo hanno comparato con quello degli americani di oggi; bene, quello odierno ha una probabilità quattro volte maggiore di contenere quegli anticorpi.

La responsabilità del forte incremento della malattia viene a volte attribuita alle varietà moderne di frumento, molto ricche di glutine, all’aumento nel consumo del cereale, nonché alla presenza ubiquitaria del glutine nei cibi industriali.

Tuttavia, la ricerca epidemiologica non sempre conferma quest’idea. Uno studio comparativo che ha coinvolto circa 5.500 soggetti ha evidenziato un’incidenza della malattia di circa uno su 100 fra i bambini finlandesi ma, utilizzando lo stesso metodo diagnostico, l’incidenza era solo di uno su 500 nei bambini russi.

Il diverso consumo di grano non riesce a spiegare questa disparità. Addirittura, i russi consumano più grano dei finlandesi, e le varietà utilizzate sono simili.

Neppure la genetica riesce a fornire una spiegazione. Le due popolazioni coinvolte nello studio sono legate dal punto di vista culturale, linguistico e genetico. Le varianti del gene che predispongono alla malattia hanno un’incidenza simile in entrambi i gruppi.

Forse più indicativo è il fatto che una tale disparità si verifica anche nel caso di altre malattie autoimmuni e allergiche. I finlandesi  sono al primo posto nel mondo per il diabete autoimmune di Tipo 1, ma i russi della regione Carelia coinvolti nello studio hanno un’incidenza di questa malattia sei volte inferiore. Anche gli anticorpi che indicano le tiroiditi autoimmuni sono molto meno presenti, e il rischio di sviluppare allergie, misurato attraverso i prick test,  è di un quarto rispetto alla media.

Qual è il segreto dei russi?

La Carelia è una regione remota della Russia, dove si vive come si viveva in Finlandia 50 anni fa.

All’epoca dello studio, neppure dieci anni fa, il reddito pro-capite della Russia era di un quindicesimo rispetto a  quello della Finlandia. L’analisi della polvere all’interno delle case e dell’acqua potabile suggeriva che i careliani russi venivano in contatto con una grande quantità di microbi, inclusi molti del tutto assenti in Finlandia.

Ad esempio, tre bambini careliani su quattro ospitavano l’Helicobacter pylori, un batterio che può causare ulcere e cancro allo stomaco ma che con sempre maggior evidenza contribuisce anche a proteggere dall’asma.

Il professor Heikki Hyoty sospetta che la ricchezza microbica dei russi careliani li protegga dalle malattie allergiche e autoimmuni perché rafforzerebbe il sistema immunitario che si occupa di combattere queste patologie.

Anni fa, la dottoressa Yolanda Sanz aveva notato che un gruppo di batteri nativi dell’intestino, i bifidobatteri, era piuttosto ridotto nei bambini celiaci rispetto al gruppo sano di controllo. Altri microbi, inclusi i ceppi di E. Coli, erano invece sovrabbondanti e stranamente virulenti.

Scoprì anche che gli E. Coli amplificavano la risposta immunitaria delle cellule intestinali al glutine mentre i bifidobatteri la riportavano verso la tolleranza.

I bifidobatterisono naturalmente presenti nel latte materno, che, insieme ad anticorpi protettivi e a proteine con funzione di segnalazione per il sistema immunitario, trasmette centinaia di zuccheri prebiotici. Questi zuccheri nutrono in maniera selettiva alcuni microbi nell’intestino del neonato, soprattutto i bifidobatteri. I neonati allattati tendono ad avere più bifidobatteri rispetto a quelli nutriti con formula.

Circa 30 anni fa un’”epidemia” di celiachia colpì la Svezia. Proprio poco prima del picco erano cambiate le linee guida sull’alimentazione infantile. Per paradosso, nello sforzo di prevenire la celiachia, ai genitori era stato detto di ritardare l’introduzione del glutine fino al sesto mese d’età, che più o meno corrispondeva al momento in cui le madri svedesi svezzavano i propri figli. Al contempo, l’industria aveva incrementato le quantità di glutine contenute nei cibi per l’infanzia.

In questo modo, una grande quantità di glutine era stata introdotta d’improvviso subito dopo lo svezzamento. Fra gli svedesi nati tra il 1984 e il 1996, l’incidenza della celiachia era triplicata arrivando al 3%. L’epidemia scemò solo quando le autorità rividero le linee guida raccomandando di continuare l’allattamento durante l’introduzione del glutine in piccole quantità. Anche i produttori di cibi per l’infanzia ridussero le quantità di glutine. Il Dr. Ivarsson scoprì che, durante l’epidemia, più a lungo i bambini erano stati allattati dopo la prima esposizione al glutine, più si erano protetti dalla malattia.

Non tutti gli studi successivi hanno dimostrato la funzione protettiva dell’allattamento, ma l’American Academy of Pediatrics, anche a seguito dell’esperienza svedese, raccomanda di iniziare il consumo di glutine mentre ancora si sta allattando.

La dottoressa Sanz in Spagna ha iniziato qualche anno fa a seguire un gruppo di 164 neonati con genotipo associato alla celiachia. A quattro mesi, 117 di loro avevano sviluppato una popolazione microbica con meno bifidobatteri rispetto al gruppo di controllo. Con un’unica notevole eccezione: l’allattamento normalizzava l’ambiente microbico dei bambini a rischio incrementando la conta dei bifidobatteri.

Anche secondo le ricerche del Dr. Alessio Fasano di Boston i bambini a rischio genetico hanno una popolazione microbica relativamente instabile e impoverita.

I microbi provocano dei cambiamenti, ma anche i geni, a loro volta, danno forma alla popolazione microbica, così come l’ambiente, l’allattamento, la dieta, gli antibiotici e molti altri fattori.

Una tale complessità mette a soqquadro le ipotesi di casualità a senso unico e suggerisce che si possa arrivare alla malattia per vie diverse. Del resto, le tortuosità non finiscono qui. Il latte non è sempre lo stesso ma varia in funzione della dieta e di altri fattori. Secondo uno studio, il latte delle madri sovrappeso è più povero in bifidobatteri di quello delle madri più magre. Un altro studio ha osservato che il latte di madri  che abitano in fattorie e in ambienti ricchi di microbi è più ricco di proteine antinfiammatorie se paragonato a quello delle madri cittadine.

Secondo il dr. Bana Jabri, direttore della ricerca al Celiac Disease Centre dell’Università di Chicago, tutte queste cose sono destinate a fare la differenza e rappresentano potenziali fattori di spinta verso la ricerca di una prevenzione alla malattia.

Traduzione dall’inglese di Michela Orazzini

Estratto da un articolo di Moises Velasquez-Manoff apparso su The New York Times il 23 febbraio 2013.

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