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Il sonno dei bambini ha bisogno di contatto

In uno scorso articolo, parlando di sonno dei bambini e del metodo Estivill, mi sono interrotto sul prezzo pagato dai piccoli che lo subiscono, prezzo salato dovuto a premesse che non tengono affatto conto dei loro reali bisogni.
Eduard Estivill, infatti, parte da una premessa totalmente erronea: rimanere da solo nel lettino e addormentarsi sono la cosa più naturale del mondo.
In realtà è esattamente vero il contrario: rimanere da solo, e per giunta al buio, è per il bambino una condizione “innaturale” e, come tale, estremamente dannosa per il suo sviluppo.

Cosa accade quando il bambino viene ignorato

È importante sapere che quando il bambino, se ignorato dai genitori, alla fine si addormenta, questo sfinimento non è affatto sano, rappresenta il fenomeno che in etologia chiama “tanatosi”, un modo con cui l’animale predato simula di essere morto per evitare di essere divorato dal predatore.
Il bambino dunque non si addormenta perché ha sonno ed è finalmente tranquillo, ma perché è come se i suoi geni gli dicessero “la minaccia (buio, solo nella stanza, genitori non protettivi) è troppo grande per te, non puoi sconfiggerla, arrenditi e fingiti morto”. È lo stesso meccanismo emotivo inconscio che troviamo per esempio alla base della depressione. Ritengo che un bambino che si addormenta in questo modo sia un bambino terrorizzato, depresso, che vivrà nel terrore (ansia, attacchi di panico, insicurezza) anche da adulto.
Nei primi 3 anni di vita il bambino si “gioca” infatti il suo sviluppo, il modo con cui creerà l’immagine di sé, la propria identità, il proprio essere in relazione con l’altro, la capacità di amare e di essere amato a sua volta. I primi 3 anni rappresentano a tutti gli effetti la base di partenza sulla quale si svilupperà la personalità adulta.
Non posso in proposito non citare John Bowlby che, con la sua teoria dell’attaccamento, ha dimostrato scientificamente le “reazioni” dei bambini di fronte a uno stato di minaccia come la separazione dalla figura genitoriale. Le reazioni sono:

  • protesta: il bambino si dimena, si lamenta, non vuole rimanere a letto da solo;
  • disperazione: è la paura più totale, l’angoscia, il pianto disperato, la fine del mondo.

Perché il bambino piange

Il pianto, è importante sapere, rappresenta un comportamento innato la cui finalità è quella di avvicinare a noi le persone, affinché ci soccorrano e ci aiutino a superare un pericolo, una minaccia, più in generale una sofferenza. All’inizio di un percorso psicoterapeutico molto spesso la persona non piange, non perché non soffra, ma perché “ha letteralmente finito le lacrime” e non ha più fiducia nell’altro, nell’aiuto esterno.
Sono persone che non hanno avuto adeguate risposte di amore e protezione alle loro naturali richieste di aiuto e che, avendo prematuramente smesso di piangere da bambini, continuano anche da adulti a non farlo. Ripercorrendo la propria storia infantile, la persona riesce a recuperare quella parte bambina ferita rimossa, quel bambino che è stato e che ha imparato a non piangere e che in qualche modo ha dovuto imparare a essere solo e a cavarsela senza il sostegno di nessuno.
Si ricomincia a sentire dentro di sé, finalmente, l’emozione, la vita, la fiducia e la speranza. Il pianto è a tutti gli effetti un importante indicatore del fatto che dentro di noi c’è ancora un cuore che batte, che siamo vivi, che abbiamo voglia di riscoprire, per dirlo con Alice Miller, il nostro “vero sé”, cioè semplicemente la parte più vera, autentica e meravigliosa di ognuno di noi e che inevitabilmente abbiamo lasciato congelata nella nostra infanzia. Una terapia che permette di piangere, è una terapia che sta andando nella giusta direzione.
Accorriamo sempre dunque al pianto del bambino, non facciamolo rassegnare, non facciamogli perdere la fiducia nel mondo!

“Movimenti autocullanti” per sostituire il genitore

A un certo punto il bambino si addormenta, solo, nella paura, sa che la sua richiesta di aiuto non serve a nulla, è inefficace, tanto nessuno va in suo soccorso. È la fase della rassegnazione, della totale sfiducia in se stessi e nell’altro, è la fase della morte del cuore. È l’obiettivo che il metodo Estivill si prefigge di raggiungere. A tutti i costi.
Un altro punto merita di essere analizzato. Eduard Estivill dedica alcune righe anche ai “movimenti autocullanti” del bambino, cioè quei movimenti di dondolamento che il bambino mette in atto da solo per addormentarsi. Secondo l’autore sono comportamenti infantili normali, che non devono mettere in apprensione il genitore. In realtà essi rappresentano un mezzo che il bambino ha per fare da solo ciò che qualcun altro dovrebbe fare per lui: essere cullato, coccolato e protetto, soprattutto in un momento così delicato e fragile come quello del sonno, in cui il bambino è totalmente inerme. Una sorta di “movimento transizionale”, per dirla con Donald Winnicott, che va a sostituire il cullare materno. Una mamma culla il proprio cucciolo per farlo addormentare, non lo lascia da solo in un lettino lontano da sé, a tal punto da metterlo nella condizione di cullarsi da solo. Altro che comportamento normale!

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Come far dormire il bambino?

Conosciamo bene le aspre critiche e denunce che il metodo Estivill e il suo ideatore hanno ricevuto da associazioni di pediatri e di movimenti che si occupano della tutela dei bambini. Eppure, dopo di lui anche altri “esperti” hanno ripreso e diffuso lo stesso metodo e di fatto il suo operato non smette di mietere vittime.
Vi starete chiedendo: ma le alternative allora quali sono?
La risposta, ormai la sapete, è sempre la stessa: genitorialità “naturale”, alto contatto, pedagogia bianca, cosleeping e tanto, tanto amore. Gli effetti benefici dell’alto contatto sul bambino e sulla relazione con i suoi genitori sono ormai molto noti e, a differenza dei metodi a basso contatto e impregnati di pedagogia nera, poggiano su solide basi scientifiche.
Oggi abbiamo la fortuna di saperle certe cose e il risultato, qui sì, è garantito!


di Alessandro Costantini
Autore, psicoterapeuta, responsabile per il Lazio del Movimento per l’Infanzia. Lavora come consulente tecnico di parte nei procedimenti per l’affidamento dei figli e nei casi di presunto abuso sessuale o maltrattamenti nei confronti dei minori.


Articolo revisionato il 18 ottobre 2022

Commenti (11)

    • Maria Anna

    • 10 anni fa

    Ciao Alessandro,

    Il tuo articolo è molto interessante e lo condivido. È comprensibile e tangibile il tuo coinvolgimento emotivo e professionale nella tematica trattata. Ciò che però non condivido sono i termini “assoluti”. Mi spiego meglio… Non credo ci sia “bianco” e “nero”, bensì infinite sfumature di essere genitore. Fra il metodo di quell’esaltato di Estivill e il co-sleeping ci sono un mare di alternative. Come hai messo tu la cosa, pare quasi che chi fa dormire i figli nel lettone è un bravo genitore e chi invece li addormenta nella loro cameretta è un genitore a “basso contatto”. Credo che il dovere etico dei professionisti sia portare alla luce tutti gli aspetti di una tematica importante come questa e lasciare al genitore la libertà mentale di scegliere come gestire la conoscenza e la nuova consapevolezza. Scostarsi dal metodo Estevill non vuol dire necessariamente co-sleeping..credo sia non far mancare mai al proprio figlio l’amore fisico e mentale che merita..significa non scordarsi di accarezzarlo,abbracciarlo e contenerlo sempre e di più.
    Grazie per il tuo lavoro

    Maria Anna

    • elena

    • 10 anni fa

    sono molto molto molto d’accordo!
    speriamo che tante mamme e future mamme aprano gli occhi!

    • Paola

    • 10 anni fa

    Ciao, ho già commentato la prima parte dell’articolo di Alessandro Costantini trovandomi pienamente d’accordo con lui e confermo questo mio pensiero anche su quanto appena aggiunto. Non capisco invece perché su un articolo così sentito e ben spiegato ci si soffermi solo su l’ultima frase estrapolando una parola:” co-sleeping” e sminuendo tutto il resto. Non mi sembra proprio che Alessandro volesse dire ciò che tu hai inteso cara Maria Anna e se ci rifletti meglio forse lo sai anche tu… Anche io ho messo a dormire mio figlio nella sua cameretta all’età di circa un anno ma stavo lì mentre si addormentava allattandolo e dopo leggendogli una favola e distendendomi accanto a lui. Quando la notte poi si svegliava, e lo ha fatto fino a circa tre anni, lo portavo a dormire nel lettone. Ho quindi cercato di rispettare i suoi bisogni con qualche piccolo compromesso che in quel momento mi sembrava non cambiasse molto il messaggio che volevo passasse a mio figlio. Dunque non mi sento per niente un cattivo genitore perchè non ho applicato un co-sleeping assoluto e non credo che nessuna madre che ha rispettato le esigenze del suo bambino ci si senta. Inoltre sono assolutamente sicura che anche Alessandro non pensi quello che tu gli fai dire…. e sicuramente non mi sento scalfita minimamente nella mia libertà mentale a differenza di quello che invece provai quando lessi quel assurdo librettino…

    • Veronicakr

    • 10 anni fa

    Buona sera . Ho una bambina di 18 mesi allattata al seno…. Dorme nel letto con me , solo io è lei perché vivo da sola …. È da qualche mese più o meno la notte si sveglia anche 10 volte a notte perché vuole il seno ….. Io la allatto volentieri e sono contenta che dormiamo insieme , ma in questo modo mi sto riducendo a zombie perché ogni ora si sveglia ,si attacca al seno due minuti e si addormenta di nuovo …..! Ah dimenticavo deve dormire con la mano nel reggiseno …! Sono proprio stanca 🙁

    • sere

    • 10 anni fa

    Credo che non ci sia una verità uguale per tutti e che ogni genitore che ama il proprio figlio trova istintivamente il modo giusto per trasmetterglielo…certo il metodo di estevill e’ sbagliato e la via giusta è il contatto…li ci possono esser le sfumature di grigio…e’ che per noi genitori e’ una parola nuova che dobbiamo riscoprire visto che noi deriviamo dal non contatto…

    • nikita

    • 10 anni fa

    buahahahahhahahahaha questa è proprio bella, è da tanto che non leggevo una simile cazzata, mi ci voleva proprio!! e così io sarei una persona insicura, ansiosa e in preda ad attacchi di panico perchè da piccola ho imparato a dormire da sola?? buono a sapersi perchè in 30 anni non mi è mai capitato nulla di tutto questo…ma ora vivrò nel terrore!!!!!!!!
    sapete cosa vi dico?? mia figlia dorme da sola da quando è nata e per lei è irritante avere qualcuno vicino prima di addormentarsi, ha bisogno solo del buio e del suo lettino. non si è mai lamentata di questo, non ha mai versato lacrime per aver dormito nella sua stanza da subito. quale problema psicologico potrà mai derivare da tutto ciò??????
    vorrei rammentare a questi “psicologi” che ogni bambino è diverso, uno può avere più dell’altro bisogno del contatto..quest’articolo mi sembra più una giustificazione per tutti quei genitori che si ritrovano il figlio nel lettone quando ha già tre anni e devono motivare il non aver saputo educare un bambino a dormire per conto suo!

      • redazione

      • 10 anni fa

      a me sembra che il fatto di sentirsi tanto punti sul vivo un motivo ce l’avrà…Dopo di che sono felice per te e la tua bambina 🙂

    • daniele

    • 10 anni fa

    caro/a sere, spesso mi trovo di fronte alla risposta perfetta “l’istinto della mamma alla fine ha ragione”. Questa è sicuramente un’affermazione verissima e bisogna aver grande rispetto delle decisioni istintive della madre o del genitore, Ma non bisogna dimenticare che questo “istinto” non è poi una cosa così pura. Una madre istintivamente tenderà a ripetere con il proprio figlio l’esperienza che ha vissuto da figlia. In buona parte dunque si tratta di un comportamento appreso, non di una cosa innata. Dunque una figlia che ha conosciuto poco la tenerezza dalla propria madre, tenderà a riprodurre lo stesso tipo di relazione con il figlio. Esiste un istinto innato, certo. Ma ogni genitore deve prima seriamente fare i conti con il proprio essere figlio

    • Giusi

    • 10 anni fa

    Salve, non mi piace l’impostazione di questo ragionamento. Francamente io non conosco il metodo Estivill ma conosco mio figlio che adesso che ha un anno si addormenta volentieri nel lettino. Per un periodo si addormentava in braccio ma adesso chiede poprio lui, indicandolo col suo ditino, di stendersi nel suo lettino. E poi si canta la ninna nanna. Certo, con me o il papà che lo guardano e gli fanno le carezze, ma non lo vedo per niente terrorizzato o depresso… secondo me bisogna stare attenti ad essere così manichei quando si scrive di questi argomenti. Tenendo conto che all’inizio della mia esperienza di mamma (al primo figlio) tendevo ad essere molto rigida nell’applicazione di alcune regole. Con l’esperienza mi sono molto più rasserenata, trovando la mia strada.

    • Paola

    • 10 anni fa

    salve a tutti. Mi colpisce molto la rabbia con cui sono stati scritti certi commenti…ma mi sento molto vicina ad altri e soprattutto a Veronicakr. Anche io sono spesso stanca e certe volte confrontarsi può essere anche rincuorante… Mi permetto di consigliare a tutti la lettura di un libro molto bello che ho appena finito: “Crescere insieme nella gioia” di Manitoquat,
    Il suo autore non fa sconti e dice una cosa che anche io ho sempre pensato: la responsabilità dei genitori per la futura stabilità emotiva dei bambini è veramente grande!! Allora se crediamo a questo presupposto può diventare molto scomodo certe volte ascoltare gli esperti o anche solo il nostro cuore quando ci parlano dei bisogni profondi dei nostri bambini. Il libro che ho appena letto, però, dice anche che questi sacrosanti bisogni possono davvero mettere a dura prova noi genitori soprattutto vivendo con questo modello si società dove babbo e mamma lavorano entrambi e spesso non possono contare sull’aiuto di altre figure parentali o addirittura c’è solo un genitore ad occuparsi di tutto!
    E allora può capitare che non ce la facciamo proprio più ad ascoltare sempre e comunque i nostri bambini e magari qualche volta possiamo anche commettere degli errori. Ma questo non significa che i bisogni non esistano… o che ci dobbiamo sentire giudicati….
    Questo autore ci parla chiaro anche a questo proposito e afferma che anche i genitori hanno dei bisogni e sarebbe auspicabile che trovassero un po’ di aiuto magari in qualche persona amica che li può anche solo ascoltare…Perchè non siamo macchine e non saremo mai perfetti anche se è giusto provarci…
    Sono mamma da otto anni e mi è capitato molte volte di sbagliare e di sentirmi in colpa per questo; ho cercato anche “buoni” compromessi e mi sono accontentata del “grigio” a cui ero arrivata consapevole che quella volta proprio non ce la facevo a raggiungere il “bianco”…
    Di una cosa però sono sempre stata convinta ed ho lottato tanto per raggiungerla per cui sono stata molto felice di condividerla anche con Manitonquat:
    anche noi genitori molto tempo fa siamo stati dei bambini ed è proprio da qui che ognuno ha il dovere e il diritto di ripartire per essere davvero un buon genitore. Manitonquat ci esorta a chiedere aiuto per questo ed io l’ho fatto tante volte perchè è davvero importante per noi e per i nostri figli cercare di rielaborare il nostro vissuto. Ci potremo così rendere conto quando è il nostro passato a renderci così pesante l’assoluta dipendenza nei nostri confronti di un bambino piccolo al di là della normale e sacrosante stanchezza che comunque il suo accudimento può comportare. Allora e solo allora riusciremo a comprendere meglio le nostre reazioni di rabbia e di frustrazione e soprattutto la loro origine, liberando così i nostri figli di un peso che non è il loro… Così come dicono Manitonquat e la mia cara amica psicologa potremo guardare con più “compassione” sia i nostri bambini con i loro bisogni sia noi stessi con le nostre difficoltà e magari con i bisogni non ascoltati dei bambini che siamo stati.
    A quel punto avremo fatto davvero tutto quello che era in nostro potere fare e non ci sarà più nessun esperto che potrà mettersi fra noi e il nostro istinto profondo e finalmente libero di guidarci a diventare il “migliore genitore possibile” per il nostro bambino.

    • francesca m

    • 10 anni fa

    Anche io penso che i bambini siano tutti diversi uno dall’altro, avendone avuti due che sono agli antipodi. Il mio secondo è come il vostro bambino e ama il contatto; io ho il sonno leggero, ma ha dormito nella sua culletta vicino al lettone e si è sempre addormentato (e riaddormentato dopo i risvegli) in braccio. Ed è ora che ha quasi un anno un bambino sereno, socievole e si vede proprio che è felice. Il mio primo invece non si addormentava stando a contatto, non c’era proprio verso, la sera piangeva per la stanchezza (in braccio) e si addormentava solo nella sua navicella. Ora che ha quasi 4 anni è un bambino da un lato autonomo, ma dall’altro molto chiuso e pauroso e mi da molte preoccupazioni. E io sto cercando di fare il possibile per fare in modo che acquisisca più sicurezza. Eppure sono sicura, confrontandolo con i comportamenti del fratello, che lui era già così da neonato. E ogni tanto mi assale l’ansia e mi chiedo come mai e perchè e non trovo risposta e traballo tra accettarlo così com’è e il tentativo di renderlo più “normale”.

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