Vediamo oggi in che cosa consiste l’unschooling e come procede l’educazione dei bambini secondo questo “non metodo”.
Torna a spiegarci l’amica e mamma-blogger unschooler Graziella De Giorgi:
Con l’unschooling i bambini possono imparare attraverso modalità molto attive di studio, ricordando quasi tutto quello che hanno appreso tramite le loro esperienze di vita naturale nel mondo reale, il contatto con persone di tutte le età, il gioco, le attività e responsabilità della casa, gli interessi personali, le passioni, le curiosità, le domande, le lunghe conversazioni che possono fare senza essere azzittiti, i libri, i viaggi, la famiglia, i mentori e l’interazione sociale.
Per l’unschooling lo studio di un singolo argomento è meno importante dell’imparare ad apprendere. Perché se non si è stati spenti nella propria capacità istintiva di imparare, si sarà anche dopo nella vita e da grandi in grado di apprendere tutto ciò che deve essere appreso, per soddisfare le esigenze emergenti, gli interessi e gli obiettivi anche di un lavoro.
Il ruolo dei genitori nell’unschooling è molto impegnato. Lasciare libero un bambino d’imparare non vuol dire affatto abbandonarlo a se stesso. Al contrario i genitori sono molto attenti e presenti come guide, aiutano i loro figli ad esplorare i loro interessi, condividono con loro le attività, i giochi, la ricerca di risposte, la lettura di libri e articoli, gite culturali.
I genitori mettono appunto in condizione di poter imparare i propri figli, a volte anche cercando persone competenti esterne alla famiglia, per approfondire un loro interesse. Aiutandoli anche a mettere in chiaro i loro obiettivi e a capire cosa devono fare per raggiungerli. Più sono piccoli e più i bambini avranno bisogno della presenza e dell’aiuto dei genitori.
Ma sul ruolo della guida vorrei chiarire ulteriormente di quale tipo di guida o di non guida stiamo parlando. Citerò a tal proposito parole sempre di Holt che illustrano molto bene quello da cui rifuggo:
“Dobbiamo riconoscere che a certi insegnanti piace il ruolo di “dragatori-capo”. Amano la sensazione di controllare costantemente non solo il corpo ma anche la mente del bambino. Adorano la sensazione di sentirsi l’unica e sola fonte di di ogni conoscenza, saggezza, esperienza nella loro classe. Taluni di questi insegnanti sono spinti dall’amore per il potere, di cui la classe è una fonte inesauribile; altri , invece, dal bisogno profondo e talvolta disperato di sentirsi utili, necessari, perfino indispensabili agli allievi. Entrambi i tipi si sentono fortemente minacciati da qualsiasi accenno alla possibilità che i bambini imparino, o debbano apprendere, da soli. Molti altri insegnanti sarebbero ben lieti di offrire una maggiore indipendenza e autogestione agli studenti, ma sono trattenuti dalla paura dei testi sacri in base ai quali gli alunni, e loro stessi, verranno giudicati.”
Questa critica degli insegnati, oltre a chiarire ulteriori disagi a cui è potenzialmente esposto un bambino a scuola, è secondo me, ugualmente una riflessione a cui sottoporre anche se stessi come genitori, quando si vuole fare unschooling (o anche homeschooling) ai propri figli, per cercare di evitare a ogni costo questi comportamenti errati dettati da egoismi inconsci o paure.
Molta attenzione va posta anche a non mettere in atto l’ansia da prestazione e i paragoni dei nostri figli con le tabelle di marcia. Ci comportiamo come se i bambini fossero dei treni obbligati a viaggiare in perfetto orario. I bambini non apprendono secondo ritmi costanti, ma a scatti e la frequenza di questi scatti è direttamente proporzionale all’interesse che provano per la materia di studio.
Holt parla anche di materiali didattici o proposte didattiche che potrebbero aiutare il bambino ad essere più indipendente dalla guida dell’adulto e potrebbero aiutare anche l’adulto ad evitare di diventare troppo un “dragatore-capo”. Ma non sta chiedendo di distruggere i programmi scolastici esistenti, per sostituirli con altri basati su quanto detto da lui. Tenta solo di suggerire che cosa i bambini potrebbero amare, se liberi di scegliere. Perché devono essere sempre i bambini a scegliere in quali dei mille modi possibili esplorare il mondo.
Andrè Stern racconta: “I miei genitori non mi hanno mai stimolato, mi lasciavano libero di trovare le mie pertinenze. Come puoi stimolare tuo figlio? Dovresti partire dai tuoi interessi, mentre i nostri genitori sono sempre partiti dai nostri. Hanno fatto ciò che faccio ogni giorno con mio figlio: ci hanno guardati e questo li ha impegnati molto. Non saprei come stimolarlo, è la vita che lo stimola. (..) Ma se anche noi dovessimo proporre un tavolo con una straordinaria quantità di proposte pedagogiche, nostro figlio forse lo guarderebbe un attimo e poi si stupirebbe di qualcosa che si trova oltre il tavolo“.
Secondo Holt questo principio è altrettanto valido per l’aritmetica, la storia, la geografia, l’apprendimento di una lingua. I bambini hanno bisogno di quello che raramente noi diamo loro a scuola: del tempo e della libertà di esplorare, prima di cominciare a leggere, per creare dei rapporti tra lettere e suoni.
Hanno bisogno di tempo per costruire nella loro mente, senza fretta, senza pressioni di nessun genere, il senso di come le parole appaiono, prima di cominciare a memorizzare delle parole particolari. Hanno parimenti bisogno di tempo per un’esplorazione spontanea e libera tra numeri e numerali, prima di impararli. Hanno bisogno di costruire un modello mentale del loro campo di esplorazione prima di cominciare a parlarne.
Gli insegnanti pensano di poter trapiantare i loro modelli mentali nella menti dei bambini, mediante le loro spiegazioni, ma è impossibile.
I difensori del sistema dicono abitualmente: “Il sapere umano è immagazzinato e trasmesso per simboli. E’ nostro dovere insegnare ai bambini a usarli”. Questo è abbastanza vero, ma il solo modo in cui i bambini impareranno a trarre dai simboli il significato è imparare innanzi tutto a trasformare la loro stessa realtà in simboli.
Devono fare il lungo viaggio dalla realtà al simbolo e farlo varie volte, prima di essere pronti a intraprendere il viaggio in senso inverso. Bisogna quindi cominciare con quello che i bambini vedono, fanno, o sanno, bisogna lasciarli parlare e scrivere, prima di tentare di parlare loro di quelle tante cose di cui non sanno nulla.
Bisogna dunque lasciare libero il bambino di sperimentare il mondo reale, libero di giocare e di esperire la realtà attorno a lui, ma tutte queste cose non ci sono dentro la scuola, bensì fuori dalla scuola, la scuola ancora una volta priva il bambino della materia prima e del tempo di cui ha bisogno per non rinunciare ad apprendere davvero.
Ci sono molti modi con cui la gente in genere reagisce a queste idee, due sono però le critiche più comuni, e le vedremo…la prossima volta, sempre insieme a Graziella 🙂