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Bambino iperstimolato, serve davvero?
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Quando una “frenesia” quasi patologica diventa la norma, apprezzare la calma e il silenzio è da anticonformisti. Quando la cultura dominante ci spinge ad essere sempre vincenti, competitivi e consumisti, percepiamo tutti lo squilibrio della società. È necessario offrire ai bambini l’esperienza di un modo diverso di relazionarsi con se stessi e gli altri.


– Shirley Lancaster (da una citazione di Laurence Freeman)

…È opinione comune che i bambini piccoli debbano essere stimolati affinché lo sviluppo e l’apprendimento procedano da subito in modo sano. È una convinzione che rientra fra quei clichés evolutivi indiscussi che quasi nessuno osa mettere in dubbio; e che invece mi preoccuperò di scardinare in questo articolo.
Non v’è dubbio che esistano diverse ragioni per cui questo principio si sia radicato nella moderna cultura tecnologica. Il cervello di un bambino piccolo è senz’altro molto sensibile da un punto di vista fisico. Secondo il Dott. Aric Sigman, “I modi e i gradi della stimolazione che un bambino riceve dall’ambiente che lo circonda influenzano, di fatto, il numero e la densità delle connessioni delle sue cellule cerebrali, nonché l’ampiezza dei vasi sanguigni che irrorano il cervello”.

Anche l’importante lavoro di autori come Sue Gerhardt e Margot Sunderland ha dimostrato che la mancanza di attenzioni e cure amorevoli può influire moltissimo sul funzionamento e sulle dimensioni del cervello nei bambini molto piccoli. È noto il caso di bambini rumeni orfani, vittime di gravi abusi e abbandono, la cui parte fronto-temporale del cervello non si era sviluppata a sufficienza e mostrava poca o nulla attività.

Tuttavia, sarebbe una conclusione logica davvero azzardata quella che prendesse le mosse da tali cognizioni per affermare che, a meno di una stimolazione proattiva (volta, cioè, ad agire d’anticipo per evitare in modo attivo problemi futuri, n.d.t.), il cervello dei bambini nei primi anni di vita non si svilupperebbe in modo normale e adeguato. La vita e lo sviluppo umano sono ben più complessi!
Di recente, in ambito internazionale, è stata sollevata da più parti la questione dell’iperstimolazione infantile. I maestri steineriani da tempo sostengono che i bambini hanno bisogno di essere protetti dal bombardamento di tanti stimoli diversi, non ultimi quelli legati alle tecnologie televisive e all’assalto implacabile dei moderni stili di vita così accelerati.

Sylvie Hétu, insegnante di massaggio infantile che opera a livello internazionale, ha scritto un capitolo sul mito della stimolazione precoce nei bambini, inserito nel mio libro Too much, too soon? Early learning and the erosion of childhood, nel quale ha evidenziato come la sindrome del “troppo, troppo presto” spesso abbia inizio sin dai primi mesi di vita e interferisca profondamente con il benessere dei bambini, anche quelli molto piccoli.

È interessante il fatto che, dopo la pubblicazione del libro, nell’autunno del 2011, Sylvie sia stata contattata da diversi giornalisti britannici che avevano compreso la grande rilevanza culturale del tema affrontato in quel capitolo. Afferma la Hétu: “E’ cruciale comprendere che i nostri tentativi educativi non siano solo “troppo precoci”, ma abbiano anche ripercussioni devastanti sui bambini. Ciò che serve ai più piccoli è…amore, attenzione, contatto umano e risposte ai propri bisogni”.
Circa un anno fa, la giornalista Shirley Lancaster ha pubblicato un reportage sul giornale britannico The Guardian dal titolo “Ai bambini serve più meditazione e meno stimolazione”. Riferendo di una lontana diocesi australiana in cui erano stati introdotti nelle classi dei regolari periodi di meditazione in silenzio, la Lancaster scriveva in modo significativo: “Se volete che i vostri figli si sentano più rilassati e meno stressati, offrite loro silenzio, non iPod”.
Personalmente, nutro alcune riserve sul fatto di sottoporre i bambini piccoli a meditazione più o meno formale. Prima di tutto, perché sacrifica il corpo (i piccoli hanno bisogno di muoversi!), e poi perché crea un protocollo programmatico che per il fatto stesso di esistere testimonia di quanto la moderna cultura tecnologica sia inadatta a creare contesti in grado di fornire al bambino la forza e il nutrimento per imparare ad essere – anziché apprendere di continuo a distrarsi da se stessi attraverso una “stimolazioneesterna e spesso artificiale.
Non dovremmo, altresì, dimenticare che autori come Aric Sigman, Robert Sardello e Cheryl Sanders dimostrano con fin troppa chiarezza che l’esposizione di bambini molto piccoli agli schermi televisivi o di altro genere è in grado di produrre cambiamenti importanti e irreversibili nel loro cervello; sia per gli effetti dovuti all’impatto diretto, sia perché vengono impedite altre esperienze cruciali nei primi anni di vita.
Anche la ricerca scientifica avvalora sempre più l’antica saggezza di autori come Sylvie Hétu, David Elkind, Shirley Lancaster e Carl Honoré. Pertanto, in netta contraddizione con la visione secondo cui al cervello del bambino sia necessaria una costante stimolazione dall’esterno, la ricerca scientifica inizia a scoprire che è vero l’esatto contrario.

Aric Sigman, ad esempio, sottolinea come limitare la stimolazione attraverso la meditazione incrementi lo spessore della corteccia cerebrale in quelle parti che sono preposte all’elaborazione dei processi attentivi e sensoriali. Sara W. Lazar, neuro scienziato all’Harvard Medical School di Boston, Massachusetts, viene citata quando afferma: “(la corteccia cerebrale) viene esercitata durante la meditazione, e si ingrandisce”; e aggiunge che gli Yogi “non stanno lì seduti a far niente”!

Come ho già scritto in diversi altri articoli su TM (The Mother Magazine), ben più di dieci anni fa Sardello e Sanders dicevano cose molto simili, fondate su una visione del mondo di tipo steineriano.
Un altro aspetto di estrema rilevanza è la morte culturale del gioco. Secondo l’educatrice Lory Hough: “Siamo una società indaffarata, fondata sull’azione, talmente impegnata a trasformare i bambini in piccoli Einstein che una cosa tanto necessaria all’infanzia quanto il gioco libero si sta ormai estinguendo in fretta”.

Nel gioco libero e immaginativo, in un contesto adeguato (che può essere spesso assai semplice e sobrio, fatto solo di materiali naturali), i bambini, grazie alla magia dell’apprendimento esperienziale e del gioco, imparano ad appropriarsi e a modulare la loro personale “stimolazione”, senza l’ausilio di fonti di stimolo esterne.

Prendendo a prestito la terminologia del grande psicologo Carl Rogers, attraverso il gioco libero imparano a sviluppare un “centro di valutazione” interiore, anziché dipendere da stimoli esterni per collocare se stessi e comprendere quale sia il posto che occupano nel mondo.
Come ho scritto altre volte su queste pagine, molta della difficoltà legata all’iperstimolazione dei bambini deriva dall’ansia genitoriale, politica e culturale, e, in particolare, si tratta di un’ansia non elaborata. Ciò che intendo è che non sorprende come i genitori siano profondamente influenzati dai messaggi e dai segnali culturali, politici e commerciali a cui sono esposti di continuo, nonché da un eccesso di informazione profuso da esperti e professionisti che fanno la fila per elargire i loro indispensabili consigli.

Per far fronte a questo tipo di influenze è necessario che il genitore si dimostri molto forte e sicuro di sé, che abbia fede nelle proprie abilità genitoriali e nutra una profonda fiducia nella vita stessa. Pertanto, se l’ambiente in cui vivono i più piccoli è adeguato a sufficienza, se sono protetti da stimoli eccessivi e inappropriati, e se hanno sufficienti occasioni di gioco libero e immaginativo, non c’è affatto bisogno che gli adulti si facciano carico della responsabilità di offrire la giusta quantità di “stimoli”.

Non dovremmo dimenticare che, solo pochi anni fa, la Disney Corporation ha dovuto risarcire milioni di genitori che avevano acquistato i famosi video educativi Baby Einstein, in quanto è stato ammesso chiaramente che tali video, di fatto, non aumentavano l’intelligenza dei bambini più piccoli, come invece era stato dichiarato.
Per riassumere, dunque, se i genitori riuscissero a tenere per sé le proprie ansie, senza proiettarle sui figli; se riuscissero a creare un ambiente sano a sufficienza, privo il più possibile di stimoli artificiali (tecnologie televisive incluse), garantendo ai bambini tante occasioni di gioco libero e immaginativo; e se, soprattutto, avessero fiducia nella vita, allora la questione della stimolazione eccessiva o insufficiente non entrerebbe neppure nel loro raggio di percezione.

Non sarebbe affatto necessario pensarci o preoccuparsene. Né, tantomeno, andrebbero sciupati soldi nell’acquisto di grottesche flash card per stimolare la memoria e l’apprendimento, video didattici e cose simili.

Traduzione dall’inglese di Michela Orazzini

L’articolo è stato pubblicato sul numero 52 della rivista omonima nel maggio/giugno 2012.

L’autore è Richard House, Ph.D., professore associato in Psicoterapia e Counselling presso l’Università di Roehampton a Londra. Tra i suoi libri: Too Much, Too Soon?:Early Learning and the Erosion of Childhood – Hawthorn Press, 2011 e Childhood, Well-being and a Therapeutic Ethos – Karnac, 2009, co-autore Del Loewenthal. È membro fondatore delle Campagne Open EYE e Early Childhood Action, per la libertà e il rispetto di scelte educative alternative al modello prescritto dal governo inglese. È autore di letteratura scientifica in ambito educativo e psicoterapeutico; ha seguito la formazione come maestro waldorf per insegnare negli asili e nelle classi elementari delle scuole steineriane; è fautore delle tre lettere aperte pubblicate dal Daily Telegraph sulla condizione dell’infanzia oggi, redatte nel 2006, nel 2007 (con Sue Palmer) e nel 2011. Per scrivere a Richard House: r.house@roehampton.ac.uk.

Bibliografia
1 Aric Sigman, ‘Does not compute, revisited: screen technology
in early years education’, in R. House (ed.), Too Much, Too Soon?:
Early Learning and the Erosion of Childhood, Hawthorn Press,
Stroud, 2011, pp. 265–89
2 See Sue Gerhardt, Why Love Matters: How Affection Shapes a
Baby’s Brain, Routledge, London, 2004; and Margot Sunderland,
The Science of Parenting, Dorling Kindersley, London, 2008.
3 Sylvie Hétu, ‘The myth of early stimulation for babies’, in R.
House (ed.), Too Much, Too Soon?: Early Learning and the Erosion
of Childhood, Hawthorn Press, Stroud, 2011, pp. 101–17
4 Shirley Lancaster, ‘Children need more meditation and less
stimulation’, The Guardian, Tuesday 11 January 2011; accessible
at http://www.guardian.co.uk/commentisfree/belief/2011/
jan/11/children-meditation-australia
5 Robert Sardello and Cheryl Sanders, ‘Care of the senses: a
neglected dimension of education’, Chapter 12 in J. Kane (ed.),
Education, Information, and Imagination: Essays on Learning and
Thinking, Prentice-Hall/Merril, Columbus, Ohio, 1999, pp. 223–47
6 Lory Hough, ‘Einstein may never have used flashcards, but he
probably built forts’, Harvard University Graduate School of Education;
accessible at: http://www.gse.harvard.edu/news_events/
ed/2007/spring/features/einstein.html
7 Julie Henry and Philip Sherwell, ‘Disney offers millions of parents
Baby Einstein video refunds’, Sunday Telegraph, 24 October
2009; accessible at: http://www.telegraph.co.uk/health/children_
shealth/6425271/Disney-offers-millions-of-parents-Baby-Einstein-video-refunds.html

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