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Gioco libero dei bambini: l’autoeducazione secondo Peter Gray

gioco libero, autoeducazione, peter grayN.B: questo testo fa parte di una serie di articoli di Peter Gray sul tema dell’autoeducazione e del gioco libero dei bambini. Michela Orazzini ne ha selezionati e tradotti tre. Questo è il primo.

Se vuoi leggere il secondo articolo “Peter Gray, l’autoeducazione e il gioco libero: i cacciatori-raccoglitori” clicca qui

Se vuoi leggere il terzo articoloL’ambiente perfetto per l’autoeducazione dei bambini secondo Peter Gray: la Sudbury Valley Schoolclicca qui

Il punto di vista interessante e provocatorio del noto psicologo Peter Gray, autore di grande successo e difensore rinomato del gioco libero per i bambini.

Come adulti abbiamo senza dubbio diverse responsabilità nei riguardi dei bambini e del loro mondo. È nostro compito creare ambienti salutari, sicuri, rispettosi. È nostro compito assicurarci che i bambini abbiano cibo appropriato, aria fresca, luoghi non inquinati in cui giocare e tante opportunità per interagire liberamente con altre persone di tutte le età. È anche nostro compito quello di essere modelli di umana decenza. Ma di una cosa non dobbiamo preoccuparci, della loro educazione.

Non dobbiamo preoccuparci dei programmi, delle materie di studio, di motivare i bambini all’apprendimento, di esaminarli e di tutte le altre cose che rientrano nella categoria della pedagogia. Impieghiamo piuttosto questa energia per creare ambienti decorosi in cui i bambini possano giocare. L’educazione dei bambini è responsabilità loro, non nostra, e solo loro possono occuparsene. Sono predisposti a farlo e il nostro solo compito in materia di educazione è quello di fare un passo indietro e lasciare che accada. Più cerchiamo di controllarla, più rischiamo di interferire.

Quando affermo che l’educazione è responsabilità dei bambini, designati per natura ad assumersela, non mi aspetto che accogliate quest’affermazione con un atto di fede. Viviamo in un mondo in cui una simile asserzione non è più la verità evidente e immediata che era un tempo. Viviamo in un mondo in cui quasi tutti i bambini e adolescenti vengono mandati a scuola, sin dalla più tenera età e fino alle soglie dell’età adulta, e nel quale il termine “scuola” ha un certo significato standard. Misuriamo l’educazione in termini di voti e di successi nell’avanzamento scolastico, è dunque naturale che poi si pensi automaticamente all’educazione come a qualcosa che si compie a scuola sotto la guida di specialisti esperti nell’arte e nella scienza pedagogica: coloro che sanno come testare nei bambini e nei ragazzi quelle abilità che trasformeranno il loro potenziale grezzo in un prodotto educato.

Perciò, mi assumo l’onere di portare qualche prova a sostegno della mia affermazione. Le evidenze più dirette provengono da ambiti nei quali possiamo vedere all’opera l’autoeducazione dei bambini senza che vi sia nulla di simile al concetto di scuola…

  1. Una parte enorme dell’educazione dei bambini avviene prima che inizi la scuola. La prova più ovvia della capacità dei bambini di auto-educarsi, squadernata di fronte ai nostri occhi, viene dall’osservazione dei piccoli nei primi quattro o cinque anni di vita, prima che chiunque tenti di insegnar loro qualcosa in modo sistematico. Basti pensare a tutte le cose che imparano in quel periodo: camminare, correre, saltare, arrampicarsi. Imparano le proprietà fisiche e il modo di manipolare tutti gli oggetti alla loro portata. Imparano la loro lingua nativa, di sicuro uno dei compiti più complessi dal punto di vista cognitivo che qualsiasi essere umano debba affrontare. Apprendono la psicologia elementare delle altre persone: come far piacere agli altri, come disturbarli, come ottenere ciò che desiderano o di cui hanno bisogno. Non imparano tutto questo seguendo delle lezioni, bensì attraverso il gioco libero, la curiosità insaziabile, e l’attenzione naturale al comportamento altrui. Non possiamo impedire loro di apprendere tutto questo, a meno di tenerli rinchiusi da soli in qualche sgabuzzino.

 

  1. I bambini nelle culture di cacciatori-raccoglitori diventano con successo adulti senza nulla che possa paragonarsi a una scuola. Nel corso di gran parte della propria esistenza, l’uomo ha vissuto in comunità piuttosto piccole di nomadi cercatori di cibo. Gli aspetti essenziali della natura umana – compresa la nostra voglia di giocare, la curiosità e tutti gli altri adattamenti biologici utili all’apprendimento – si sono evoluti nel contesto di quello stile di vita. Alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori sono riusciti a sopravvivere fino ai giorni nostri, conservando intatta la propria cultura. Gli antropologi che li hanno studiati – in Africa, Asia, Nuova Zelanda, Sud America e altrove – hanno scoperto una notevole costanza di atteggiamento che le diverse popolazioni hanno nei riguardi dei bambini. In tutte queste culture ai bambini e agli adolescenti è permesso giocare e seguire i propri interessi, dall’alba al tramonto, senza interferenze da parte degli adulti. La convinzione di questi popoli, corroborata da millenni di esperienza, è che i giovani imparino da sé attraverso il gioco e l’esplorazione, e che poi, una volta pronti, mettano naturalmente in pratica ciò che hanno appreso a beneficio dell’intera comunità. Grazie allo sforzo personale, i figli dei cacciatori-raccoglitori acquisiscono l’enorme bagaglio di abilità e conoscenze di cui hanno bisogno per essere adulti di successo nella propria cultura.

 

  1. I bambini che frequentano certe “scuole non-scuole” nella nostra cultura diventano adulti di successo senza bisogno di nulla che somigli a una scuola convenzionale. Sono stato per molti anni osservatore di bambini e adolescenti alla Sudbury Valley School, a Framingham, nel Massachusetts. La scuola è stata fondata una quarantina di anni fa da persone che credevano a un tipo di educazione molto simile a quella dei cacciatori-raccoglitori. Si rivolge a giovani dai 4 ai 18 anni circa e non ha nulla a che vedere con una scuola tipica. È un contesto democratico in cui i bambini hanno davvero lo stesso peso degli adulti e in cui gli studenti apprendono solo attraverso attività auto-dirette. In sostanza, si tratta di un ambiente protetto e sicuro in cui i giovani possono giocare, esplorare, assumersi delle responsabilità, e interagire liberamente con gli altri in una comunità in cui sono rappresentate tutte le età. Non ci sono esami o verifiche, premi e riconoscimenti, promozioni o bocciature; non esistono indirizzi di studio e compiti, costrizioni o atteggiamenti persuasivi per indurre l’apprendimento; non ci si aspetta che lo staff sia responsabile per l’apprendimento dei bambini. Al momento, diverse centinaia di giovani si sono autoeducati in un simile ambiente. E no, non sono diventati cacciatori-raccoglitori! Sono diventati artigiani, artisti, cuochi, dottori, ingegneri, imprenditori, avvocati, musicisti, scienziati, lavoratori del sociale e progettisti di software. Si trovano in tutte le carriere considerate prestigiose.
Tratto da Psychology Today del 16 luglio 2008
 [Questo articolo è legato semanticamnete ad altri due dello stesso autore, che presto pubblicheremo]

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