Quanto influisce il linguaggio che usiamo per trasmettere un’informazione quando ci rivolgiamo ad una futura madre o ad una neomamma?
Sappiamo che lo stesso concetto può essere percepito in modo diverso, soprattutto se scritto non potendo aggiungere il tono della voce o la mimica facciale…
Ecco quindi che può esserci un breve passo tra trasmettere un’informazione ed esprimere giudizi (o almeno venire scambiati per giudicanti), specialmente se ci rivolge ad una donna in gravidanza o ancor più alla neomamma! La donna in questo particolare momento della propria vita è molto più sensibile, i suoi sensi sono tesi, in allerta, pronti a captare qualsiasi cosa. Il forte cambiamento ormonale poi non fa che amplificare tutto ciò che sente. Non è raro ad esempio che essa si senta inadeguata, che abbia paura, che si senta sotto giudizio nel suo imparare ad essere madre.
Diventa facile, quindi, comprendere come sia importante, sia da parte degli operatori che da parte di qualsiasi altro interlocutore, il linguaggio che si utilizza.
Un esempio molto lampante sono i social. Si formano centinaia di gruppi sulla gravidanza, il parto, il parto vaginale dopo un cesareo o l’allattamento al seno e solitamente sono per lo più gruppi di donne, talvolta vengono coinvolti gli operatori.
Purtroppo le discussioni sono molto frequenti in questi ambiti. Se una donna in un gruppo sulla gravidanza naturale osa ammettere di essere seguita in gravidanza dal ginecologo, ecco subito le due fazioni schierarsi: da una parte e dall’altra a difendere la propria posizione e il passo dal condividere semplicemente la propria esperienza al commettere un vero e proprio giudizio purtroppo è breve.
La donna che nel gruppo sul parto naturale racconta di aver partorito in casa viene eretta a paladina del parto rispettato, così quella che alla fine ha dovuto partorire col taglio cesareo si sentirà inadeguata o peggio ancora una fallita.
Colei che nel gruppo sull’allattamento manifesta tutta la sua stanchezza nel proseguire un allattamento difficile fatto di notti insonni, aggiunte e pressioni psicologiche da parte dei parenti, viene additata come la madre degenere che non riesce a comprendere l’importanza dell’allattamento al seno.
Attenzione, perché quanto detto sopra avviene più spesso di quanto pensiamo e avviene per lo più in maniera indiretta, da una frase detta e non detta, da un’allusione, da un commento. E se è vero che chi frequenta il social e si iscrive a tali gruppi deve mettere in conto in un certo senso il “giudizio altrui”, è anche vero che in questa società che ci vuole al top, che poco tollera l’errore, che ci spinge a voler essere e voler sembrare agli occhi degli altri, ci obbliga al confronto e a voler prevalere sugli altri, a dimostrare di aver fatto meglio, di aver detto meglio e quindi alla competizione. Se poi il tutto avviene col filtro di uno schermo che ci separa dai nostri interlocutori, ecco che giudicare diventa molto facile.
I vecchi e preziosi gruppi di sostegno, i gruppi di automutoaiuto prevedevano il rapporto diretto tra le persone. Esse in cerchio le une davanti alle altre si guardavano negli occhi, soppesavano le parole, utilizzavano l’inclinazione della voce e la mimica facciale per esprimere un pensiero o un’emozione…in tale contesto era più facile il clima di accoglienza e rispetto, cosa che lo schermo e la parola scritta lasciano inevitabilmente decadere…
Come poter rendere un gruppo “virtuale” altrettanto accogliente e caloroso?
Come far sì che ciascuna donna e ogni mamma si sentano libere di poter esprimere un’emozione o un pensiero e di raccontare la propria esperienza di genitorialità senza temere di essere sbranate dal branco delle leonesse?
Cerchiamo, tutte, operatrici, mamme, future mamme, mamme bis o tris, che allattano o meno, che partoriscono in casa o col taglio cesareo, di ponderare le parole mettendosi sempre dalla parte di chi ascolta o chiede. Immaginiamoci nei panni di quella donna che sta chiedendo aiuto o semplicemente condividendo un punto di vista personale frutto della propria esperienza e ascoltiamola col cuore aperto di un ascolto vero, non quell’ascolto superficiale che altro non aspetta che essa abbia finito di parlare per poter dire “Io invece”, “Io farei” “Io avrei detto” “A me è successo…”
L’ascolto quello con la A maiuscola è fatto di silenzio e di immedesimazione. Se io mi metto al posto di quella persona più facilmente riesco a comprenderne i sentimenti e quindi a non giudicarla ma accoglierla. E questo tra mamme è essenziale! Nessuna è più o meno madre delle altre!
E quando sono gli operatori ad “amministrare” un gruppo o comunque ad intervenire?
Ovviamente le linee guida e le evidenze scientifiche devono sempre essere ben presenti e la base di partenza per una corretta informazione, ma attenzione al linguaggio e a come viene offerto un consiglio! Immedesimarsi è sempre la tecnica migliore!
Emanuela Rocca