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Trascendere il massaggio infantile

Ormai frequentare un corso di massaggio infantile è un must che ogni neomamma deve rispettare, almeno nella zona dove io abito e lavoro (Provincia di Monza e Brianza). Così, con il pargoletto di pochi giorni, ci si inizia a informare su dove fare il corso, perché, se può servire per alleviare le odiabilissime coliche, su costi e orari. Sicuramente noi insegnanti abbiamo un ruolo in questo senso di urgenza: spieghiamo a profusione i benefici del massaggio, raccontiamo quanto faccia bene per rinsaldare il legame tra genitore e bambino, quanto sia rilassante (ma anche stimolante), un momento speciale, un tempo dedicato… E dopo aver sparso la voce per diversi anni, con il moltiplicarsi dei corsi, è ovvio che il massaggio infantile stia diventando parte di quelle cose che una neomamma (ma anche un neopapà) dovrebbe assolutamente fare, un po’ come preparare il corredino.
Si seleziona il corso migliore per sé, si frequentano i cinque incontri cercando di focalizzare e memorizzare ogni passo della sequenza, si impara ad ascoltare i segnali del proprio bimbo, si ride, si scherza, ci si racconta, si piange anche, fino a che il corso non finisce. E poi? Poi qualcuno va avanti e ripropone la sequenza che ha imparato, l’adegua al bimbo in crescita come le è stato insegnato; qualcuno massaggia solo qualche parte, la più accessibile, quella che il bimbo sembra apprezzare di più; qualcuno smette di massaggiare alla fine del corso, per non riprendere più. Ho spesso la sensazione che, col diffondersi della pratica del massaggio infantile, qualcosa sia andato perduto.
Lo scopo del massaggio infantile dovrebbe essere favorire il contatto e la comunicazione tra genitore e bambino, e non insegnare una semplice sequenza. Se i passi imparati, se la tradizione millenaria delle sapienti donne indiane non aiuta a stare con i propri piccoli in consapevolezza, se distrae a causa del troppo pensare a quello che si dovrebbe fare… che importa la sequenza? Da questa pratica dovrebbe emergere un modo diverso di stare col bambino, spesso dimenticato nella frenesia della vita moderna: l’atto di dedicare il proprio tempo dimenticandosi del resto, l’azione compiuta con le sole nostre mani per far star bene l’altro. In questo caso non si parla di un “altro” qualsiasi, ma dell’essere vivente che per nove mesi (più o meno) è stato portato, cullato e massaggiato dal grembo materno; l’azione che consideriamo è la manipolazione fisica dell’essere-mamma, che ha formato il piccolo con il proprio corpo, con i propri pensieri e desideri, l’ha voluto e ha faticato per metterlo al mondo.
Ora, con il bimbo in carne e ossa di fronte a sé, la mamma non è solo un vuoto contenitore (come ahimé a volte ci si sente dopo il parto, con la pancia sgonfia e il bimbo come unico polo di attenzione, quando tutto il mondo pare essere più sapiente di noi, pronto a dispensare il consiglio migliore in ogni situazione): la mamma è la persona più esperta, capace e competente con il piccolo, in grado di sintonizzarsi con le sue necessità e ascoltare i suoi bisogni più incomprensibili. Il suo tocco è magico, quello dell’unica persona al mondo che con una carezza e un bacio è capace di guarire il dolore, fisico o psicologico; la persona che con il suo sguardo dà ragione di essere al piccolo, perché attraverso i suoi occhi il bambino sa di essere visto, tenuto in considerazione. Si tratta delle mani che possono dare forma e confine, e nel dare un limite corporeo percepibile al piccolo lo fanno esistere come entità al di fuori dell’utero materno; non più solo estensione del seno da cui sgorga il latte ma persona con i propri confini psicofisici, con uno schema corporeo autonomo in divenire. Il potere e l’energia che scorrono nelle mani di chi massaggia sono unici e potenti, una medicina dimenticata che, attraverso interessanti processi biochimici che supportano la vita emotiva, possono veramente curare, guarire e nutrire pelle, pancia, mente, psichismo, per arrivare allo sviluppo sano e armonico di un essere vivente (processi che possono portare beneficio da soli o combinati con i medicinali, nel caso in cui una malattia del bambino lo richieda).
Solo ricordandosi tutto ciò il massaggio non è più una mera sequenza: diventa il mezzo e il modo attraverso cui la singola mamma si prende cura del suo bimbo, con il proprio tocco caratteristico per tono e pressione, con il proprio stile, con abitudini, colori e profumi di un ambiente che non è standardizzato ma speciale, specifico per ogni famiglia. Ecco che massaggiare assume una connotazione differente, diventa una comunicazione unica, un linguaggio specifico fra due persone, un dialogo romantico che inizia con le parole “Sono qui con te”.

Nicoletta Bressan

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