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Cinque modi per tutelare la vostra idea di parto di fronte agli operatori sanitari (I parte)

Dire che sono stata ingenua durante la mia prima gravidanza è un eufemismo.

D’altra parte, chi sa veramente quello che LORO stanno facendo, prima di avere un bambino?

Giuro che devo essere stata un Boy Scout in una vita precedente, perché rivivo giorno dopo giorno il loro motto: bisogna essere preparati. Quando sono rimasta incinta per la prima volta, ho fatto mio questo motto a un livello completamente nuovo. Mi stavo assicurando di essere pronta per quel bambino, il che comprendeva accogliere il mio neonato in questo mondo esattamente nel modo in cui avevo sempre desiderato.

Per prima cosa, mi trovai un’ostetrica con una reputazione eccellente. Poi, iscrissi me e mio marito ai corsi di Ipno-parto. Iniziai un progetto di ricerca di nove mesi sui piani di nascita. Lessi libri, parlai con gli assistenti al parto, presi parte ai forum online, e poco alla volta mi auto proclamai un’esperta di piani per il parto.

Il mio progetto di parto era esattamente quello che doveva essere: flessibile, non troppo lungo, e, nel limite del possibile, doveva essere una partnership tra me e i miei operatori sanitari.

Pur essendo un’infermiera professionale, nonostante avessi una solida comprensione per quanto riguarda la complessità del sistema sanitario, credevo ancora che avrei potuto avere un parto naturale in ambiente ospedaliero. Avevo condiviso la mia idea di parto con la mia ostetrica, la quale sembrava sul pezzo durante i nostri incontri (in seguito avrei imparato che, nonostante il suo accordo con il mio piano, lei lavorava eseguendo gli ordini di un medico, colui che in realtà richiede le iniezioni).

  • Interventi inattesi. Le donne spesso lasciano perdere i loro piani per il parto

A trentanove settimane e pochi giorni, mi svegliai con un po’ di umidità nel letto. Come penso che qualsiasi mamma incinta possa comprendere, non sapevo se si trattasse delle mie acque rotte o di una fuoriuscita di pipì, dato che era semplicemente una piccola chiazza. Telefonai alla mia ostetrica, la quale mi ordinò di andare a fare due passi, di muovermi, di vedere se il travaglio era iniziato. Mi disse che se non fossi stata in travaglio entro le 7:00 di sera (dodici ore più tardi) sarei dovuta andare in ospedale, in modo che potessero visitarmi per scoprire se le mie acque si erano rotte.

Trascorsi la giornata come mi era stato indicato, camminando per un totale di sei miglia. Rimbalzai sulla mia palla da yoga; feci un pisolino. Niente.

Come stabilito, arrivai in ospedale alle 7:00 di sera. Ero “tamponata”, e dissi che sembrava liquido amniotico. Fui informata del fatto che, dal momento che erano trascorse dodici ore dal mio “si sono rotte le acque”, si doveva usare il Pitocin per indurre il mio travaglio, era il protocollo, perché il bambino poteva essere a rischio di infezione.

Aspettate, questo non era affatto previsto nel mio piano per il parto. Trasmisi il mio piano all’infermiera, la quale lo accettò, però mi disse che l’unico “piano” che aveva era per me, affinché me ne andassi con un bambino sano. Non mi aspettavo una simile risposta. Mi sentivo svuotata e sconfitta, e il mio travaglio non era ancora iniziato.

Non vi voglio annoiare con ulteriori e confusi dettagli, a parte dire che il Pitocin aprì le porte a tutti quegli interventi che non avrei mai voluto. Solo col senno di poi ho imparato che anche se avessi avuto una perdita amniotica molto piccola, l’induzione potrebbe non essere stata comunque necessaria.

 

  • Non scrivete il vostro piano per il parto senza considerare questi cinque consigli.

La verità sull’argomento è che, mentre alcuni operatori sanitari sono favorevoli al piano nascita della madre, ci sono infermieri, medici e ostetriche che ridicolizzano il suddetto piano.

Su un noto sito web che si occupa di gravidanza, un infermiere scrive:

“Sono un infermiere professionale (da più di dieci anni) e trovo i piani nascita fastidiosi, ripetitivi, e di solito inutili. Ciò che la maggior parte delle donne vuole, per il novanta per cento del tempo, corrisponde in ogni caso al protocollo. Come detto in precedenza, perché non basta aprir bocca brevemente quando il soggetto viene fuori, se non sembra che stia per accadere quello che si preferisce?”.

Avrei voluto saperne di più a quell’epoca. Ma nel tentativo di aiutare le altre mamme a essere consapevoli, ecco qui i cinque modi principali per tutelare la vostra idea di parto di fronte agli operatori sanitari:

  1. Al vostro parto portate un avvocato con esperienza.

Mio marito è stato di supporto durante il travaglio. Ma mentre lui senza ombra di dubbio si prodigava per il mio benessere, ad esempio offrendomi dei sorsi d’acqua, era assolutamente impreparato a parlare a mio nome quando si trattava di scelte riguardanti l’assistenza sanitaria. Se avessi assunto un’assistente al parto o avessi portato con me una motivatrice con esperienza, questa avrebbe potuto rigettare la “regola delle 12 ore”. In minima parte, lei sarebbe stata in grado di discutere con l’infermiera sull’importanza della mia idea di parto, in relazione alla mia sfera emotiva.

 

 

[CONTINUA]

 

Autrice: Sheramy Tsai

Traduzione: Chiara Costa

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