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Breastsleeping: il sonno dei bambini durante l’allattamento

Dormire con il proprio bambino durante l’allattamento è normale, afferma l’antropologo James J. McKenna. “Normale” in questo caso significa “previsto dal punto di vista della norma biologica” perché dal punto di vista della norma sociale il cosleeping è spesso considerato patologico.
A sostegno della relazione tra sonno e allattamento, lo studioso propone un neologismo che, tuttavia, designa una pratica che risale all’alba dei tempi: breastsleeping, cioè “sonno allattato.

I benefici del cosleeping

James J. McKenna e la sua équipe di ricercatori hanno dimostrato che il sonno condiviso raddoppia, anzi triplica i risvegli notturni e dunque il numero di poppate, quindi la quantità di latte assunto dal neonato. Il cosleeping fa sì anche che il neonato mantenga una temperatura corporea più alta rispetto a quella durante il sonno solitario. Il sonno allattato influenza positivamente anche l’allattamento. Tutto questo avviene in armonia con i ritmi di vita di madre e bambino, sia con quelli della respirazione sia con quelli del sonno, interrotti da micro-risvegli durante i quali il bambino poppa, la madre gli aggiusta le coperte, lo bacia e lo accarezza, finché non si riaddormenta.
I neogenitori, o coloro che non l’hanno mai praticato, hanno spesso un’idea abbastanza vaga del sonno condiviso. Per descrivere il cosleeping, James J. McKenna ci propone un’immagine particolarmente evocativa: «immaginate una leonessa e i suoi leoncini addormentati in posizioni casuali: le zampe sulle schiene e le teste appoggiate sulle pance. Raggomitolati in quel modo, i loro corpi si muovono in armonia con il loro respiro e formano un caloroso gomitolo d’amore»¹. In effetti, ritroviamo quest’immagine del «caloroso gomitolo d’amore» nelle abitudini di molti mammiferi e specialmente in quelle dei primati.
Il sonno si adatta ai bisogni specifici di ciascuna specie. I piccoli dell’uomo, in particolare, hanno bisogno di prossimità e contatto, di calore, latte, sostegno emotivo e affettivo.

Il sonno allattato, un’evoluzione del binomio madre-bebè

L’evoluzione umana stessa contraddice la teoria del sonno solitario. I piccoli umani sono programmati per cercare prossimità e contatto con coloro con i quali si addormentano e ciò avviene per alcune ragioni.
La posizione su due zampe e quindi la riduzione del canale pelvico da una parte, e l’aumento delle dimensioni del cervello e quindi il suo maggiore peso nella placenta dall’altra, hanno determinato una nascita precoce: quando viene al mondo, il neonato è in uno stato di insufficienza neurologica e motoria neanche paragonabile alle condizioni di autosufficienza dei cuccioli neonati degli altri mammiferi. Per questo motivo, i piccoli umani sono estremamente vulnerabili e totalmente dipendenti dalla cura e dalla protezione degli adulti, cure che, specialmente durante i primi mesi di vita, devono essere intense e costanti.
La composizione del latte materno ci dà un ulteriore argomento a favore della tesi del sonno allattato. Le specie animali che lasciano soli i loro piccoli per lunghi periodi, infatti, hanno un latte ricco di grassi e proteine e povero di zuccheri: questo permette ai cuccioli di rimanere sazi e di poter aspettare a lungo la poppata successiva. Il nostro latte materno e, in generale quello delle specie animali che portano, dormono insieme e hanno un contatto prolungato con i loro piccoli, è diverso. Il livello di zuccheri (essenzialmente lattosio) del latte materno umano è quasi due volte superiore al tasso di lipidi (7% contro il 3,8%) e sette volte superiore al tasso di proteine², perciò le poppate devono essere più frequenti. I piccoli umani non sopportano le lunghe separazioni, se non altro per il loro bisogno di allattamento. Si può capire meglio, allora, perché non si possa pensare separatamente all’allattamento e al sonno dei neonati.

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Spiegare, non demonizzare

Il binomio madre-bebè nel contesto del sonno allattato è così particolare che deve essere distinto dagli altri studi epidemiologici sul sonno condiviso, che riguardano invece vantaggi e rischi di questa pratica. È per questo motivo che James J. McKenna propone il neologismo “sonno allattato (breastsleeping).
Sappiamo, per esempio, che i risvegli notturni frequenti e l’allattamento, caratteristiche specifiche del sonno allattato, sono dei fattori di prevenzione della morte in culla. James J. McKenna rileva che, nonostante le raccomandazioni sanitarie americane, la pratica del cosleeping è in aumento negli Stati Uniti, in concomitanza con l’aumento del tasso di allattamento. In realtà, quest’abitudine non era mai stata davvero abbandonata: i genitori continuano a tenersi vicino i loro bambini almeno in alcune ore della notte, come fanno da millenni, soprattutto durante l’allattamento³.
È dunque fondamentale che i genitori siano informati e non condannati o colpevolizzati per i loro comportamenti.
In conclusione, in una società in cui il sonno allattato è riconosciuto come comportamento biologico normale, un neonato che si sveglia spesso è un neonato ben adattato, che sta bene, e non un neonato che ha dei problemi di sonno da correggere a tutti i costi.
Perciò… dormite insieme senza preoccupazioni!


¹ J.J. McKenna, Dormir avec son bébé, Éditions La Leche Ligue, 2015.
² M. Baudry, S. Chiasson, J. Lauzière, Biologie de l’allaitement: le sein, le lait, le geste, Éditions des Presses de l’université du Québec, 2006.
³ La ricercatrice britannica Helen Ball ha dimostrato che i dati sull’abitudine del cosleeping sono inferiori alla realtà perché i genitori tendono a rispondere ai sondaggi quel che è socialmente accettabile anziché ciò che succede in realtà.

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