Abbiamo riconosciuto nel tempo che, fra le necessità fondamentali dei bambini, oltre al nutrimento fatto di latte vi è quello affettivo.
Ci siamo così dedicati al massaggio infantile, al portare, al gioco, alle coccole, accantonando progressivamente l’idea di vizio che era fortemente radicata nella nostra cultura.
Da anni andiamo dicendo, citando Frédérick Leboyer, che «essere portati, cullati, carezzati, essere tenuti, massaggiati, sono tutti nutrimenti per i bambini piccoli, indispensabili, come le vitamine, i sali minerali e le proteine, se non di più. Se viene privato di tutto questo e dell’odore, del calore e della voce che conosce bene, il bambino, anche se gonfio di latte, si lascerà morire di fame».
Vorrei indurvi però a fare ancora un piccolo salto, una questione così scontata da rimanere spesso in ombra.
Il nutrimento affettivo non deve per forza risiedere in momenti appositamente costruiti, è già insito in ogni azione di cura: tutto dipende dalla modalità in cui la espletiamo.
Ogni genitore avrà avuto modo di notare come, con un neonato, lacura del corpo e dell’emotività corrispondono: sembra che le necessità del piccolo siano tutte fortemente fisiche (mangiare, dormire, respirare, scaricarsi) eppure è proprio tramite esse che viene trasmesso l’infinito amore di chi si occupa di lui.
Diciamolo meglio: le modalità con cui si espletano le funzioni che rispondono ai bisogni primari del bambino possono essere caricate di amore, quel tanto che, svolgendo il semplice atto di cambiare un pannolino, si trasmette tutta la cura e l’affezione genitoriale. La maggior parte di noi neanche si rende conto di quanto sentimento possa esprimersi attraverso la pratica dei piccoli gesti ed è proprio per questo motivo che può capitare di non riconoscere quando svolgiamo un’attività con leggerezza, senza dedicarcisi profondamente, senza cura.
Ma i neonati lo riconoscono all’istante.
Il fatto di metabolizzare i messaggi attraverso il senso cinestesico, di basarsi moltissimo sulle sensazioni tattili per interpretare il mondo circostante e l’impossibilità di avvalersi del canale lessicale per esprimersi, fanno sì che i bambini percepiscano la disposizione e lo stato emotivo e di chi si prende cura di loro in maniera diretta.
Per la verità, questo accade ogni volta che ci rapportiamo a persone con delle fragilità, anche in età adulta, con disabilità o in stato avanzato di senilità, cioè tutte quelle persone che si trovano aggrappate ai gesti di cura, dipendenti, ancor più che dalle parole, da una carezza. È il gesto di cura a trasmettere il messaggio: “Io ci sono, sono qui per te, esco da me stesso per venirti incontro e costruire in questo spazio una relazione”.
Per il mio modesto parere, nessuno, meglio del filosofo Martin Buber, ha saputo esprimere questo concetto di incontro con l’alterità tramite un gesto, parlando del suo rapporto con un cavallo (non me ne vogliate se in questa citazione si parla di animali e non di persone: la profondità del messaggio è la medesima).
«Durante le vacanze estive, nel podere dei miei nonni ero solito, ogni volta che potevo farlo senza essere visto, sgattaiolare nella stalla per accarezzare il dorso del mio beniamino, un grande cavallo grigio a chiazze bianche […]. L’animale mi rivelava l’Altro, l’immane alterità dell’Altro, la quale però non restava estranea, come nel caso del bue e del montone, ma si lasciava avvicinare e toccare. Quando accarezzavo la potente criniera, a volte straordinariamente liscia, a volte altrettanto sorprendentemente selvaggia, e sentivo vivere la vita sotto la mia mano, era come se l’elemento stesso della vitalità venisse a contatto con la mia pelle, qualcosa che non ero io, non ero assolutamente io, l’io familiare, ma tangibilmente l’Altro, non semplicemente un altro, ma proprio l’Altro in se stesso, il quale però si lasciava avvicinare da me, si confidava con me, si presentava semplicemente a tu per tu con me […]. Un giorno però non so cosa passò nella mia mente di ragazzo, in ogni modo era qualcosa di abbastanza puerile, accarezzando l’animale pensai che era cosa piacevole e improvvisamente sentii la mia mano. Il gioco cominciò come sempre, ma qualcosa era mutato, non era più la stessa cosa. E quando il giorno successivo […] accarezzai la groppa al mio amico, egli non alzò più la testa. Già qualche anno dopo, ripensando all’episodio, non ero più convinto che l’animale si fosse accorto della mia defezione, ma in quel primo momento mi sentii condannato».
Capire come poter incontrare l’Altro, quando è un neonato, non è una cosa affatto scontata.
Ma l’aspetto positivo è che i piccoli sanno perdonare tutti quei momenti in cui non riusciamo a essere totalmente centrati su di noi e aperti all’incontro, perché hanno un estremo bisogno di affetto, perché sono fondamentalmente buoni e pronti a riversare il loro amore incondizionato su chi si prende cura di loro.
Quindi non vi preoccupate, possiamo ancora fare tantissimo per rimediare! Nel prossimo articolo capiremo insieme come partire dall’atto di prendere in braccio per riconoscere, accogliere e nutrire affettivamente i nostri piccoli.
di Nicoletta Bressan
Educatrice perinatale e insegnante di massaggio infantile AIMI.
Come essere portatori di una genitorialità pacifica, affinchè i propri figli siano a proprio agio con le emozioni? Ce lo spiega Alfie Kohn in “Amarli senza se e senza ma”.
Come essere portatori di una genitorialità pacifica, affinchè i propri figli siano a proprio agio con le emozioni? Ce lo spiega Alfie Kohn in “Amarli senza se e senza ma”.
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Abbiamo riconosciuto nel tempo che, fra le necessità fondamentali dei bambini, oltre al nutrimento fatto di latte vi è quello affettivo.
Ci siamo così dedicati al massaggio infantile, al portare, al gioco, alle coccole, accantonando progressivamente l’idea di vizio che era fortemente radicata nella nostra cultura.
Da anni andiamo dicendo, citando Frédérick Leboyer, che «essere portati, cullati, carezzati, essere tenuti, massaggiati, sono tutti nutrimenti per i bambini piccoli, indispensabili, come le vitamine, i sali minerali e le proteine, se non di più. Se viene privato di tutto questo e dell’odore, del calore e della voce che conosce bene, il bambino, anche se gonfio di latte, si lascerà morire di fame».
Vorrei indurvi però a fare ancora un piccolo salto, una questione così scontata da rimanere spesso in ombra.
Il nutrimento affettivo non deve per forza risiedere in momenti appositamente costruiti, è già insito in ogni azione di cura: tutto dipende dalla modalità in cui la espletiamo.
Ogni genitore avrà avuto modo di notare come, con un neonato, la cura del corpo e dell’emotività corrispondono: sembra che le necessità del piccolo siano tutte fortemente fisiche (mangiare, dormire, respirare, scaricarsi) eppure è proprio tramite esse che viene trasmesso l’infinito amore di chi si occupa di lui.
Diciamolo meglio: le modalità con cui si espletano le funzioni che rispondono ai bisogni primari del bambino possono essere caricate di amore, quel tanto che, svolgendo il semplice atto di cambiare un pannolino, si trasmette tutta la cura e l’affezione genitoriale.
La maggior parte di noi neanche si rende conto di quanto sentimento possa esprimersi attraverso la pratica dei piccoli gesti ed è proprio per questo motivo che può capitare di non riconoscere quando svolgiamo un’attività con leggerezza, senza dedicarcisi profondamente, senza cura.
Ma i neonati lo riconoscono all’istante.
Il fatto di metabolizzare i messaggi attraverso il senso cinestesico, di basarsi moltissimo sulle sensazioni tattili per interpretare il mondo circostante e l’impossibilità di avvalersi del canale lessicale per esprimersi, fanno sì che i bambini percepiscano la disposizione e lo stato emotivo e di chi si prende cura di loro in maniera diretta.
Per la verità, questo accade ogni volta che ci rapportiamo a persone con delle fragilità, anche in età adulta, con disabilità o in stato avanzato di senilità, cioè tutte quelle persone che si trovano aggrappate ai gesti di cura, dipendenti, ancor più che dalle parole, da una carezza.
È il gesto di cura a trasmettere il messaggio: “Io ci sono, sono qui per te, esco da me stesso per venirti incontro e costruire in questo spazio una relazione”.
Per il mio modesto parere, nessuno, meglio del filosofo Martin Buber, ha saputo esprimere questo concetto di incontro con l’alterità tramite un gesto, parlando del suo rapporto con un cavallo (non me ne vogliate se in questa citazione si parla di animali e non di persone: la profondità del messaggio è la medesima).
«Durante le vacanze estive, nel podere dei miei nonni ero solito, ogni volta che potevo farlo senza essere visto, sgattaiolare nella stalla per accarezzare il dorso del mio beniamino, un grande cavallo grigio a chiazze bianche […]. L’animale mi rivelava l’Altro, l’immane alterità dell’Altro, la quale però non restava estranea, come nel caso del bue e del montone, ma si lasciava avvicinare e toccare. Quando accarezzavo la potente criniera, a volte straordinariamente liscia, a volte altrettanto sorprendentemente selvaggia, e sentivo vivere la vita sotto la mia mano, era come se l’elemento stesso della vitalità venisse a contatto con la mia pelle, qualcosa che non ero io, non ero assolutamente io, l’io familiare, ma tangibilmente l’Altro, non semplicemente un altro, ma proprio l’Altro in se stesso, il quale però si lasciava avvicinare da me, si confidava con me, si presentava semplicemente a tu per tu con me […]. Un giorno però non so cosa passò nella mia mente di ragazzo, in ogni modo era qualcosa di abbastanza puerile, accarezzando l’animale pensai che era cosa piacevole e improvvisamente sentii la mia mano. Il gioco cominciò come sempre, ma qualcosa era mutato, non era più la stessa cosa. E quando il giorno successivo […] accarezzai la groppa al mio amico, egli non alzò più la testa. Già qualche anno dopo, ripensando all’episodio, non ero più convinto che l’animale si fosse accorto della mia defezione, ma in quel primo momento mi sentii condannato».
Capire come poter incontrare l’Altro, quando è un neonato, non è una cosa affatto scontata.
Ma l’aspetto positivo è che i piccoli sanno perdonare tutti quei momenti in cui non riusciamo a essere totalmente centrati su di noi e aperti all’incontro, perché hanno un estremo bisogno di affetto, perché sono fondamentalmente buoni e pronti a riversare il loro amore incondizionato su chi si prende cura di loro.
Quindi non vi preoccupate, possiamo ancora fare tantissimo per rimediare!
Nel prossimo articolo capiremo insieme come partire dall’atto di prendere in braccio per riconoscere, accogliere e nutrire affettivamente i nostri piccoli.
di Nicoletta Bressan
Educatrice perinatale e insegnante di massaggio infantile AIMI.