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Mamme, riportiamo l’attenzione al centro di noi stesse
Nello scorso articolo vi ho parlato di come, nel nostro Ecosistema Terra attualmente in difficoltà, anche la modalità di ingresso dei cuccioli nel mondo possono fare una grande differenza.Pensavate forse che vi lasciassi soli con un pugno di critiche e tanta disillusione? Certo che no!
Vorrei, in questo e nei prossimi scritti, fornire ai lettori una serie di spunti per dei piccoli cambiamenti interiori, quotidiani, che ognuno di noi può apportare in linea con le richieste della maternità, per vivere più consapevolmente questo evento e prendersi cura.
Di cosa? Di sé, dei propri bimbi e del futuro nello stesso tempo.Ecco il primo.

La maternità è un evento fortemente personale, intimo, che lavora sul corpo e sulla psiche della donna.

È difficile trovare parole per narrare lo sconvolgimento percepito, le sensazioni che mutano e plasmano la mamma mentre danno forma fisica e spazio psichico al bambino, permettendogli di esistere. Questo vissuto è così totalmente nuovo, vibrante ma confuso, sconosciuto. Spesso, quando le emozioni sono forti e inenarrabili, la parola deve cedere il passo ad altre forme espressive, quelle che normalmente definiamo come artistiche: poesia, colore, disegno, scultura, danza, canto, proposte creative che permettono di far nascere un’idea, di esprimere un concetto altrimenti fermo sulla punta della lingua o bloccato tra le domande che ognuno pone a se stesso: “Quello che sento sarà adeguato?”. Certo che lo è, nessun libro potrà spiegarci mai a parole la meraviglia e la durezza del nostro vissuto.
Esprimiamoci in tutte le modalità che possono aiutarci a “tirare fuori” il caos che abbiamo dentro, rappresentiamolo, diamogli forma e possibilità di esistere.Michel Odent diceva che le donne incinte non dovrebbero leggere libri sulla gravidanza e il parto. Il loro tempo è troppo prezioso. Esse dovrebbero, piuttosto, guardare la luna e cantare per il loro bambino nel grembo materno.
In queste parole è concentrato tutto il limite del sapere moderno che cerca di spiegare la gravidanza e il parto esclusivamente dal punto di vista della fisiologia e degli interventi medici, delle cose pratiche che accadono momento dopo momento.Certo, è fondamentale sapere come viene al mondo un bambino, ma questa è una conoscenza che tutti dovremmo possedere con una certa accuratezza, come conoscenza di base.
Inoltre, questo cancellerebbe finalmente dal sapere popolare le classiche scene di nascita da film, in cui alla donna si rompono le acque in maniera biblica, inizia a urlare, si ha la corsa in ospedale e dopo un’ora passata a spingere sdraiata sul lettino, finalmente la mamma può abbracciare il suo bambino, ma non prima che il medico abbia tagliato il cordone ombelicale e lavato il neonato.
Quante donne conoscete che hanno effettivamente vissuto un parto di questo tipo?«Quando una donna diventa madre, è sempre la prima volta; per la donna che vive questa esperienza ciò che è davanti a lei e che deve avvenire è terra sconosciuta, terra d’ombra, e lo resterà a dispetto di ogni tecnica e sapere scientifico» afferma Sophie Marinopoulos.Possiamo anzi dire che più la tecnica progredisce e più sgretola lo spazio delle percezioni personali, dai movimenti del piccolo al suo stato di benessere e persino all’immaginazione che la mamma fa del suo bambino.

Mentre la diagnostica prenatale si perfeziona e le ecografie sono sempre più precoci e dettagliate, il vissuto soggettivo fa un passo indietro, non trovando più campi di espressione, luoghi da abitare, spazi per raccontarsi, sempre più scarsi anche a causa dell’impoverimento delle relazioni sociali.E invece noi, care mamme, abbiamo il primo e più grande sapere: il vissuto e la conoscenza diretta. Questa gravidanza, questa attesa, il parto e la cura si esperiscono per il tramite del nostro essere, del nostro corpo e dei nostri pensieri tutti, che non sono un contorno ma sono parte essenziale. Noi siamo essenziali.Per crescere sani e forti, ai nostri bambini non interesseranno le parole né i sentimenti né i gesti di nessun altro, all’infuori dei nostri. Per poter tornare a sentire la nostra voce prima di quella degli altri (che si tratti di consigli da parrucchiera o di pareri esperti), c’è una cosa semplicissima e complessa allo stesso tempo che possiamo fare: spostare l’attenzione.Non dobbiamo, ovviamente, ignorare quello che dice il medico, ma solo spostare il focus dei sensi verso il centro di noi stesse.
Nostro figlio richiede, prima di tutto, che troviamo tempo per lui nella quotidianità, nel nostro corpo che continua a cambiare e nei pensieri che ci affollano la mente. Chiede di essere accolto e l’unico modo per farlo è fare spazio.Facciamo pulizia, buttiamo fuori lo stress tossico, i commenti velenosi, i brandelli di un passato che non ci appartiene più, tutto quello che ci dà fastidio. Lasciamo andare.
Creiamo silenzio per poter ascoltare, fermiamoci per poter capire la direzione del nostro movimento, creiamo vuoto da poter lentamente riempire.
E cerchiamo, ognuna, il nostro unico modo per farlo, leggendo, camminando, danzando, meditando, vedendo una cara amica o costruendo un piccolo ambiente riservato, di deliberata solitudine.Prendiamoci cura di noi, perché questa è la base per poter far crescere, nascere e accudire almeno due persone nel medesimo momento: il nostro bambino e noi stesse.


di Nicoletta Bressan
Educatrice perinatale e insegnante di massaggio infantile AIMI.


S. Marinopoulos, Nell’intimo delle madri. Luci e ombre della maternità, Milano, Feltrinelli, 2008.
S. Vegetti Finzi, L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2017.

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