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Il diritto al rispetto della genitorialità

Da tempo venuto alla ribalta come tema importante di discussione, e mai come in questo periodo diventato di attualità, quello della tutela genitoriale ha trovato un suo momento di maggiore approfondimento con le vicende legate alle vaccinazioni obbligatorie.
Oggi l’emergenza Covid19 ha scoperto il vaso di Pandora, permettendo che questa tematica trovi la sua più ampia ribalta nella discussione se le scelte genitoriali sui figli siano più o meno tutelate dalla legge.
Ne parliamo con Claudia Blandamura, avvocato.

La Costituzione tutela la famiglia e il ruolo genitoriale

L’analisi della Costituzione Italiana rivela la presenza di una specifica norma contenuta nell’articolo 30; una norma che, senza ombra di dubbio interpretativo, attribuisce ai genitori il diritto-dovere di «mantenere, istruire ed educare i figli». Si legge più compiutamente che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti».

La norma è di rango costituzionale, vale a dire che tecnicamente gode del rango più alto che una norma possa avere nella gerarchia delle Fonti normative del nostro Stato.
Ma ogni norma non è mai un unicum isolato, dovendo sempre essere letta alla luce dei principi tutelati dall’ordinamento giuridico nel cui ambito predetta norma opera. E così l’articolo 30 va letto e interpretato in combinato con altre norme costituzionali, quali l’articolo 29, per il quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» e l’articolo 31, per il quale «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
La lettura coordinata di tali norme porta innegabilmente ad affermare che la tutela della famiglia e del ruolo genitoriale (con particolare riferimento alla maternità cui viene fatto espresso richiamo) godono della più ampia tutela costituzionale.

Ogni riserva di legge a favore dello Stato obbliga, pertanto, gli organi legislativi ed esecutivi a emanare norme che siano rispettose dei principi costituzionali.
Pertanto non potranno che tacciarsi di incostituzionalità tutti quei provvedimenti legislativi (e, peggio ancora, amministrativi che, come tali, godono di valenza cogente inferiore alla legge ordinaria, ma ancor più inferiore alle norme costituzionali) che limitano la genitorialità e si sostituiscono all’esercizio dei diritti e doveri propri dell’ambito familiare.

Un po’ di storia

L’importanza della costruzione Costituzionale a favore della famiglia appare ancor più evidente se si considera il quadro storico che portò all’emanazione dei principi cristallizzati dalla nostra Carta Costituzionale.

Una breve analisi storica si rende dunque necessaria per meglio comprendere la valenza della tutela genitoriale e familiare in argomento.
La nostra Costituzione nasce come figlia dei precedenti ordinamenti giuridici rispetto ai quali la Costituzione decide di sancire principi nettamente opposti e umanitariamente superiori.

Consideriamo infatti che nello Statuto Albertino il nucleo familiare non godeva del termine “famiglia” (termine con il quale ci si riferiva solo alla famiglia reale allora regnante) e del nucleo familiare venivano disciplinati solo gli aspetti patrimoniali. 
Nel periodo fascista la famiglia era intesa come il “contenitore” all’interno del quale venivano allevati i figli nel rispetto dei principi di morale e di sentimento nazionale fascista.
Pertanto, nel momento in cui la nostra Costituzione ha introdotto una tutela così esplicita e forte della genitorialità e della famiglia come società naturale (espressione questa intrisa di profondi significati su cui, in altra occasione, sarebbe interessante soffermarsi per un’analisi filosofica del diritto) ha voluto esprimere un cambio totale di rotta, indicando la ferma volontà di tutelare il rapporto prima naturale e poi civile del genitore-figlio e del nucleo familiare.

Davanti a una tutela così forte che la nostra Costituzione ha indiscutibilmente voluto affermare, non si può non rilevare come tutte le norme statali che deragliano o rischiano di deragliare da tale tutela costituzionale, non possono che essere tacciate non solo di incostituzionalità, ma, cosa ancor più grave, di violazione dei diritti naturali.

Diritti della famiglia e diritti naturali

In particolare, l’articolo 29 della Costituzione riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, quindi famiglia naturale, società naturale che nasce nell’alveo del diritto naturale.
La società naturale è una società preesistente allo Stato.
La parola “società” va intesa nell’accezione di “formazione sociale”, cioè di nucleo di aggregazione sociale tipica dell’essere umano.

In questa lettura, la tutela riconosciuta dall’articolo 29 significa che la famiglia ha dei diritti primordiali e fondamentali, intangibili e anteriori a qualunque riconoscimento della legge positiva. E, pertanto, si tratta di riconoscere costituzionalmente la priorità dei diritti che derivano da quell’ordinamento giuridico che è la famiglia, che ha «le sue leggi e i suoi diritti, di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare», come affermava Aldo Moro.

Chi dunque viola i diritti della famiglia, prima di violare diritti civili, viola diritti naturali e questa violazione rappresenta fuori da ogni dubbio un potenziale crimine contro l’umanità.
Pertanto nessun apprezzamento e nessuna legittimità possono meritare norme che tendono (in situazioni di relazioni familiari prive di disfunzioni degne di particolare nota e tutela) a limitare i diritti che dalla famiglia e dalla genitorialità discendono.

Perché il confinamento dei bambini ha comportato una soppressione delle scelte genitoriali

Durante il lockdown (e se questo dovesse ripetersi il discorso resterà, ahimè, comunque attuale) le disposizioni normative che hanno portato all’isolamento dei bambini sono state una violazione del diritto del genitore di protezione dei figli.

Mi spiego meglio: posto che proprio sul sito del Ministero della Salute da un lato si sottolinea come «le evidenze scientifiche disponibili, chiarisce l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), indicano che nei pazienti pediatrici l’infezione causata da SARS-CoV-2 si manifesta con un andamento clinico più favorevole rispetto all’adulto» e come «i sintomi di Covid-19 nei più piccoli sono spesso assenti o lievi» e posto altresì che l’osservatorio internazionale UNICEF ha già rilevato le forti conseguenze che il lockdown ha avuto sui bambini, il divieto assoluto di far uscire i bambini da casa ha comportato una soppressione delle scelte genitoriali in ordine al benesere dei propri figli, senza alcuna ragionevole motivazione di tutela della salute pubblica poiché, come detto, i bambini sono esposti in misura molto lieve al rischi di contagio e, se contagiati, sono spesso asintomatici o facilmente guaribili.
Se poi il confinamento dei bambini è stato diretto a una tutela dei soggetti adulti più deboli (in quanto i bambini sono anche stati visti come gli untori per eccellenza), sarebe stato molto più ragionevole tutelare i soggetti a rischio e non costringere all’isolamento i bambini.


di Claudia Blandamura
Avvocato.

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