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I diritti dei bambini ai tempi del Covid-19

Viviamo in una società sempre meno a misura di bimbo, non serviva il Covid-19 per dimostrarlo. Comunque la si pensi, in un dibattito sociale sempre più teso e polarizzato, in cui gli interlocutori sono spesso più interessati a capire da che parte sta l’altro che non ad ascoltare quanto sta dicendo, sarebbe davvero difficile e ipocrita negare il fatto che i diritti dei bambini sono stati incredibilmente messi in secondo piano, da più punti di vista.

Inutile fare classifiche fra le categorie con cui condividono questa sorte (gli anziani in testa, che con i piccoli hanno del resto molto in comune, fra cui proprio il fatto di essere indifesi e ritenuti “improduttivi”): doveroso, piuttosto, fare un ragionamento che spieghi almeno in parte com’è possibile che la negazione di alcuni dei più fondamentali diritti dei bambini sia stata accolta da una sostanziale indifferenza generale.

Se vengono negati i diritti dei bambini

In occasione dalla celebrazione della Giornata per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il 20 novembre, sono molti i punti che fanno o dovrebbero far gridare allo scandalo e impensierire seriamente, a prescindere, ripeto, dalle posizioni del caso, dalle quali purtroppo ci si riesce sempre più difficilmente a svincolare, in un costante “tutti contro tutti”.

Tanti i diritti dei bambini che sono stati negati negli ultimi tempi:

  • Diritto alla socialità, all’aria e agli spazi aperti, pensati per loro o meno (dal parco giochi al vialetto fuori casa).
  • Diritto all’educazione e istruzione. Non si può negare che sia stato fortemente compromesso, fra didattica a distanza e misure di contenimento del contagio che paiono spropositate alla luce delle centinaia di studi internazionali che evidenziano la bassa contagiosità dei piccoli, o comunque prese senza una reale cognizione delle conseguenze e una valutazione globale di rischi e benefici.
  • Diritto alla serenità. In un clima di terrore e bombardamento mediatico senza precedenti (particolarmente dannoso per chi è in formazione e pieno sviluppo fisico e psichico) è stato completamente sacrificato quel senso di pace che dovrebbe caratterizzare le giornate dei bambini: a differenza degli adulti, ai piccoli e ai piccolissimi spesso le cose sono state raccontate in maniera frammentaria o nascoste del tutto, causando in loro ancora più paure e ansie. Per non parlare dei bambini sotto i 3 o 4 anni d’età che non possiedono le capacità cognitive e linguistiche per poter comprendere ed eventualmente elaborare quanto sta accadendo.
  • Diritto al gioco e all’esplorazione della creatività. I giocattoli e gli articoli di cancelleria, ma anche i vestiti per i piccoli, sono stati ritenuti “beni superflui” e divenuti quasi merce di contrabbando nei mesi del lockdown nazionale.

Il caso delle scuole

Fino a qualche settimana fa, al di fuori dalle mura scolastiche la vita scorreva di nuovo tranquilla, fra ristoranti, negozi, palestre e centri di aggregazione di nuovo pieni o quasi.
Nelle classi l’atmosfera era ben diversa, dal momento che i provvedimenti architettati per tutta l’estate venivano messi in pratica con l’ausilio di metro, frecce segnaletiche e gel igienizzante, dando luogo a scene francamente paradossali: come quelle di bambini costretti a entrare ordinatamente in fila indiana, distanziati di un metro o più, indossando correttamente le loro mascherine, mentre i genitori li osservavano al di là del cancello, assiepandosi.
Per non parlare dell’ipocrisia di far osservare tali misure scrupolosamente in classe, fingendo di ignorare quanto accadeva prima dell’ingresso a scuola o quanto sarebbe accaduto all’uscita, nei pomeriggi passati fra sport, svaghi e incontri.

L’impressione è stata di un virus che avrebbe colpito solo nei luoghi in cui non si genera profitto (come negli istituti scolastici e sui mezzi pubblici necessari per raggiungerli) risparmiando quelli in cui invece il tornaconto economico non manca.
A questa situazione molti adulti, anche educatori, hanno reagito con proteste e recriminazioni oppure, al contrario, sfoderando la retorica e facendo dei bambini e degli insegnanti dei nuovi eroi, replicando quanto già (ipocritamente) accaduto col personale sanitario durante la “prima ondata”.

Il mito della resilienza dei bambini

I bambini “collaborano”, si “adattano al volo”, sono più “bravi” e “rispettosi” degli adulti, i quali sono stati del resto ripetutamente infantilizzati dalle istituzioni, che si sono accaparrate il ruolo di pazienti, ma duramente messi alla prova, padri di famiglia.
A entrare in gioco, qui, è il mito comodo della resilienza dei bambini: non si vuole negare che siano dotati di incredibili capacità di adattamento nei confronti anche degli ambienti più ostili, tuttavia questo tipo di narrazione è stato indegnamente strombazzato e strumentalizzato per lavarsi la coscienza e dimenticare che alcune situazioni si sarebbero potute  e dovute evitare, o avrebbero avuto conseguenze meno drammatiche se il contesto di partenza fosse stato diverso, o ancora se fossero stati più cospicui gli investimenti successivi per un reale, concreto cambiamento .

In un sistema già al limite come quello scolastico italiano, caratterizzato da edifici fatiscenti, classi “pollaio” e una didattica a dir poco tradizionale impostata in spazi chiusi, con l’alunno al banco e il docente in cattedra, la catastrofe era dietro l’angolo: sono davvero pochissimi i casi in cui si è fatta di necessità virtù, sfruttando quelle che del resto erano le molteplici possibilità offerte dalle generiche e tanto discusse linee guida, per esempio proponendo una didattica fuori dall’aula, all’aperto o in edifici diversi.
Similmente, a livello nazionale, si contano sulle dita delle mani le scuole che già avevano condizioni di partenza tali da richiedere pochi interventi traumatici per il buon proseguimento delle lezioni: anche qui, erano rare quelle che già prevedevano una didattica innovativa a 360 gradi, con un uso virtuoso degli spazi, del digitale e delle risorse umane.

L’emergenza sanitaria: una cartina tornasole

La situazione di emergenza sanitaria sta fungendo da cartina tornasole per la scuola tout court, in tutti i suoi aspetti, nel modo in cui è strutturata e nel modo in cui, a fatica, si regge in piedi: le storture, le mancanze e le stridenti contraddizioni che stanno facendo scappare molti da quello che appare sempre più come un granitico pachiderma non sono sorte dal nulla, ma risultano solo amplificate dall’attuale assetto sanitario, politico, sociale ed economico.

A pensarci bene, la pandemia ha fornito e sta fornendo tuttora un’incredibile occasione per tirare le somme e rendersi conto, in tutti gli ambiti, di quanto non funzionino certi paradigmi (nati dalla “cultura” e dal “progresso”) che ormai consideravamo intoccabili, come quello della separazione per parecchie ore al giorno fra genitori e figli.

Nel giro di poche settimane, ripiombati nel girone dantesco delle chiusure più o meno stringenti, le contraddizioni insite nel nostro modo di vivere sono tornate alla carica, con la DDI (Didattica Digitale Integrata, com’è stata ribattezzata per l’occasione) quale spauracchio delle famiglie: ai problemi economici e lavorativi si sono infatti sommati quelli della gestione familiare, in molti casi basata sulla delega ad altri delle funzioni di accudimento, educazione e istruzione della prole.

E qui, parlando di questa “delega”, giova e occorre allargare la prospettiva, pensando che dimenticarsi dei diritti dei bambini e delle esigenze delle loro famiglie può accadere con il sostanziale tacito consenso dell’opinione pubblica e senza scossoni solo in una società in cui i più piccoli sono già poco considerati, se non quando danno fastidio e vengono allora etichettati come “difficili”, “malati” o, come accaduto col Covid, “untori”.

I diritti dei bambini nelle parole di Maria Montessori

Quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario della nascita di una grande donna e professionista che ha rimesso lo sguardo del mondo sui più piccoli, dedicando loro la sua intera, straordinaria esistenza: Maria Montessori.
Leggere le sue parole, specialmente nel contesto attuale, ci ammonisce con straziante attualità e lucidità di quali sono e saranno i danni a lungo termine per il futuro della nostra specie.

Danni che, soprattutto dal dopoguerra in poi, iniziano già nel periodo prenatale, per proseguire nei primi mille giorni di vita e poi nel corso dell’intera infanzia e adolescenza, in un sistema che prospera sulla presunta incapacità e inadeguatezza dei genitori, visti prima come consumatori che come educatori, maldestri nell’entrare in contatto con i loro figli, espongono inconsapevolmente questi ultimi e loro stessi a stimoli inadatti alla loro natura e li trattano, generazione dopo generazione, senza alcuna consapevolezza interiore, come sono stati a loro volta trattati.

Il rispetto del genitore per la preziosa vita che ha tra le mani e la competenza genitoriale vengono prima di tutto dalla corretta informazione, dall’educazione-formazione e dal sostegno:  tutto ciò è di fatto precluso (per un mix di ignoranza, indifferenza e palese interesse) da parte di chi detiene il potere, più interessato a mantenere lo status quo e a coltivare i suoi particolari interessi che badare al benessere dei cittadini in un’ottica integrata.

Imparare da questa situazione

Sarà un caso che, ancora una volta, la pandemia stia diventando un’opportunità per ripristinare antiche consuetudini o irrigidire del tutto certe procedure già discutibili, che vanno a scapito proprio delle categorie già più fragili e danneggiate?
Penso ai punti nascita che separano mamme e nascituri e che applicano ancor più massicciamente cesarei del tutto ingiustificati per “motivi di sicurezza” legati all’emergenza; penso a tutti gli interventi non necessari e anzi dannosi che stanno minando le già scarse possibilità di portare avanti un allattamento e un accudimento sereni, in una società del distacco in cui le leggi del marketing si credono più forti di quelle della fisiologia.

Lo stesso si può dire della scuola intesa come sistema (tralasciando le pur presenti individualità che lottano in senso contrario) che, nella stragrande maggioranza dei casi, ha perso l’occasione di cambiare, arroccandosi ulteriormente su alcuni assunti e trasformandosi in un presidio sanitario dai tratti casermeschi, più che in un avamposto della conoscenza, della democrazia e della libertà di cui pur si riempie la bocca.

Che questo 20 novembre dedicato ai diritti dei bambini non vada dunque sprecato tra fiumi di retorica e propaganda, ma diventi concreta, doverosa e dolorosa occasione per una presa di coscienza, per quanto tardiva.


di Federica Villa
Insegnante di scuola superiore di primo grado, mamma alla pari in allattamento e curatrice del blog Dontwasteasunnyday, in cui ragiona di maternità e genitorialità, educazione e vita outdoor.

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