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INTERVISTA a Olivier Maurel: la violenza sui bambini è educazione?

La violenza sui bambini, o utilizzando eufemismi più o meno edulcorati, l’educazione e la disciplina impartiti attraverso “scappellotti” o “sculaccioni”.

Sistemi dati per lo più per scontato, accettati acriticamenti da buona parte dei genitori e applicati da secoli nella convinzione che siano mezzi “giusti e innocui” per insegnare ai nostri bimbi (leggi individui più piccoli e indifesi di noi) e che, al contrario, sono ben lungi dall’essere privi di conseguenze, anche gravi.

Oggi vogliamo interrogarci proprio su questo tema, estrema manifestazione dell’ amore (e dell’educazione) condizionati che prevede il ricorso a premi e punizioni (vedi il testo di Alfie Kohn Amarli senza se e senza ma), prendendo spunto da un articolo inviatoci dall’amica Chiara Pagliarini.

olivier maurel autore su violenza bambini

Chiara ha tradotto per noi l’ intervista a Olivier Maurel, fondatore dell’Osservatorio sulla violenza educativa ordinaria (OVEO), in cui vengono descritti gli effetti dei castighi corporali sui bambini in occasione della Giornata sulla non-violenza educativa.

Poche semplici ma puntuali domande, le cui risposte non mancheranno di farci riflettere.

Buona lettura.

UNO SCULACCIONE E IN CASTIGO!

Cosa l’ha spinta a interessarsi alla violenza educativa?

La mia infanzia, vissuta durante la guerra, mi ha condotto a interrogarmi sulla violenza per tutta la vita. Solo a cinquant’anni circa ho sentito di aver trovato una risposta nel libro di Alice Miller La persecuzione del bambino (Bollati Boringhieri, 2007), in cui viene spiegato che la maggior parte delle violenze commesse, sia individuali sia collettive, hanno come origine le violenze subite, in particolar modo la più universale, ossia quella inflitta ai bambini per educarli.

Da dove viene la sculacciata e più in generale la violenza educativa nelle nostre società?

La sculacciata è solo una delle molteplici forme di punizioni corporali. Veniva già praticata presso i Romani, a colpi di bastone o di frusta. L’usanza di picchiare i bambini è tanto antica quanto la scrittura (ma sembra non venisse praticata tra i cacciatori-raccoglitori, cioè durante i 9/10 dell’esistenza dell’umanità). Proverbi sumeri ed egizi consigliano già di picchiare i bambini.

Purtroppo in seguito non c’è mai stata alcuna interruzione a questa usanza che si trasmette di generazione in generazione. Tuttavia nei Paesi europei le punizioni corporali si sono addolcite, e sono state persino vietate in trentadue Paesi, di cui una ventina europei, a partire dal 1979, anno in cui la Svezia per prima ha votato per il suo divieto.

“Non rispondere al pianto di un bambino è già una forma di violenza”
Secondo lei, dove inizia la violenza educativa? Attraverso quali gesti, parole o azioni?

La violenza educativa inizia nel momento in cui, con intento educativo, non rispondiamo oppure rispondiamo in modo violento ai bisogni e ai comportamenti dei bambini. I bambini hanno un bisogno vitale di essere trattati con benevolenza. Picchiarli significa ridicolizzare questo bisogno. Non rispondere al pianto di un bambino è già una forma di violenza, poiché il pianto è l’unico strumento di cui dispone il bambino per far conoscere i suoi bisogni.

Quale risonanza ha per il bambino e l’adulto la violenza educativa?

Se intendiamo per risonanza gli effetti a più o meno lungo termine della violenza educativa, questi sono estremamente numerosi. Diciamo in termini generali che da principio possono essere fisici. Sotto l’effetto dello stress prodotto dalle botte o dalla minaccia delle botte, gli ormoni dello stress che non possono svolgere la loro normale funzione (fuggire o difendersi) in un bambino picchiato dai genitori, diventano tossici e attaccano il sistema digestivo e alcune parti del cervello.

Anche il sistema immunitario ne viene disturbato, sempre a causa dello stress. Quindi le difese dell’organismo si abbassano e aprono la porta a una gran quantità di malattie.

Anche gli effetti sulla salute mentale sono importanti: umiliazione, mancanza di fiducia in sé stessi, perdita della stima di sé, rischio di depressione, propensione all’alcolismo e alla tossicodipendenza, tendenze suicide… Rischi di riprodurre la violenza per lo meno sui propri figli, violenza coniugale, sottomissione alla violenza, violenza contro gli altri in generale.

Perché la violenza è stata scritta e normalizzata all’interno del nostro modello educativo?

Essenzialmente per ripetizione di ciò che ogni generazione ha subito.

“Oggi sono spesso le Chiese ad opporsi a una legge di divieto, per attaccamento alle punizioni bibliche”. Che esempi dà la Bibbia in materia e quali barriere rappresenta attualmente per i governi che cercano di uscire da questo schema?

Una decina di proverbi biblici raccomandano di picchiare i bambini. Uno di questi proverbi dice: “La follia è radicata nel cuore del bambino, la frusta ben applicata può strapparla” (Proverbi, 22, 15).

Vi si trova sia un’accusa contro il bambino, imputato di essere cattivo fin dalla nascita, sia la violenza presentata come un rimedio. Questa tradizione è stata ripresa nel cristianesimo sotto forma di peccato originale, con lo stesso rimedio praticato lungo tutta la storia della Chiesa e delle Chiese.

Oggi in molti stati sono spesso le Chiese ad opporsi a una legge di interdizione, per attaccamento alla “punizione biblica”!

Al giorno d’oggi chi picchia i propri figli in Francia?

La percentuale dei genitori che ricorre alle punizioni corporali varia a seconda di come viene posta la domanda. Ma in generale si tratta di più dell’80% di genitori che picchia i propri figli. Queste punizioni sono di violenza e frequenza molto variabile. I figli vengono picchiati in tutti gli strati sociali.

Perché da adulti picchiamo i figli? A quale processo psicologico andiamo incontro?

Nelle società in cui non è stata messa in discussione la violenza educativa, si picchia con la convinzione di far bene, di allevare i figli correttamente. In un Paese come la Francia, in cui da circa due secoli l’usanza di picchiare i bambini viene messa in discussione da un buon numero di scrittori, medici, psicologi, spesso si picchia perché si è stati picchiati, e non si sa fare diversamente e ci si rimprovera di ciò.

“Il diritto di correzione non esiste veramente nella legge”. Secondo lei bisogna vietare, come in Svezia, qualsiasi punizione corporale sui bambini per far progredire le cose?

Sì, bisogna vietare le punizioni corporali, altrimenti rischiamo di averne ancora per un secolo intero. Al giorno d’oggi, con le crisi che si annunciano, abbiamo bisogno di adulti che abbiano conservato la loro totale integrità e il loro potenziale innato e sociale che viene alterato gravemente dalla violenza educativa.

Che ne è del diritto di correzione di cui si sente ancora oggi parlare nelle arringhe di alcuni avvocati o nei discorsi di alcuni giudici?

Questo “diritto di correzione” non esiste veramente nella legge. Ed è in contraddizione totale con l’articolo 222-13 del Codice penale. Mentre in questo articolo il fatto che le botte siano date da un genitore o da una persona con autorità è una circostanza aggravante, in molti casi diventa invece una circostanza attenuante.

Per concludere, i genitori che desiderano comportarsi diversamente dove possono trovare aiuto?

Leggendo i libri di Alice Miller è già possibile trovare in sé stessi molte risorse e una forte motivazione per non picchiare più i propri figli. Ma è possibile trovare aiuto anche in associazioni come la Scuola dei genitori o nei forum su Internet, come Parents-conscients (gruppo Yahoo, in francese). I libri di Thomas Gordon, Isabelle Filliozat e l’opera di un autore di recente tradotto in francese, il terapeuta danese Jesper Juul (“Il bambino è competente”, Feltrinelli) possono aiutare molto i genitori.

(traduzione dal francese di Chiara Pagliarini
fonte: www.estrepublicain.fr)

Commenti (3)

    • Alexandra

    • 12 anni fa

    “Al giorno d’oggi chi picchia i propri figli in Francia?

    La percentuale dei genitori che ricorre alle punizioni corporali varia a seconda di come viene posta la domanda. Ma in generale si tratta di più dell’80% di genitori che picchia i propri figli.”

    Come??? più dell’80%??? ma com’è possibile? O allora, cosa intendiamo per “picchiare”? vere botte, o l’occasionale pacca sul sedere o sulla manina delinquente?

    Va da sé che siano inaccettabili i colpi duri che fanno male, della sculacciata sistematica che fa sentire il bimbo umiliato ed impotente, tutto quello che è stringere o scuotere un bimbo, così come e per me mai, per nessun motivo, si può colpire sulla faccia (che è il “luogo dell’identità”.
    Tuttavia, secondo me, un gesto immediato, limitato, che non fa male ma “segna” immediatamente una cosa come “cattiva”, è meno violento che urlare o inveire. Credo si possa fare molto più male con le parole, i lunghi sermoni e i rimbrotti, con il tono della voce irato. E’ anche di più facile comprensione per un bimbo, che è più a suo agio con il fisico che con il verbale. Non so come spiegarlo, ma nel mio vissuto di bambina, ho sempre trovato in qualche modo “rassicurante” la rara (rarissima) e misurata sculacciatina data dalla mano amorevole di mamma o papà, accompagnata da parole semplici e chiare, mentre i discorsi di rimprovero erano molto più angoscianti. Questo anche perché il gesto fisico non era, in realtà, violento o aggressivo, era “a misura di bimbo”.

    Credo che il fattore principale che rende inaccettabile la punizione fisica non sia tanto il gesto in sé quanto l’umiliazione e il senso di impotenza inflitti al bambino, e ancora peggio, il messaggio che l’accompagna e tende a rendere il bambino colpevole della rabbia del genitore.

    In qualche modo, il genitore deve rispettare le regole che “civilizzano” l’espressione fisica dell’aggressività, regole di tipo “cavalleresco”: menare le mani si può anche, ma in modo nobile e diretto, ad armi uguali, faccia a faccia, mai a sorpresa, mai contro uno più debole, mai per umiliare o dominare, bensì per difendere se stesso o uno indifeso. La sculacciata può essere “leale”, se commisurata al bambino, debitamente pre-avvertita in caso di comportamento grave o recidivo, e mai data come “soluzione” ad una situazione di semplice disaccordo.

    • jekie

    • 10 anni fa

    no! :'( :'(

    • Luca Palinmuro

    • 1 anno fa

    Ma chi ha scritto l’articolo ha figli ? Chiedo soltanto senza generare ….. grazie

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