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Madre e padre: per un accudimento condiviso (II parte)

I primi passi di un bambino sono un evento straordinario! Continua l’articolo di Alessandro Volta, il nostro pediatra sostenitore dell’accudimento condiviso. Se ti sei perso la prima parte, la trovi QUI.


Il primo aspetto del quadro che ho cercato di mettere a fuoco presenta dunque la madre in piedi dietro la bambina sorretta per le ascelle. Dopo mesi vissuti in braccio e poi in terra con qualche spostamento orizzontale, è venuto il momento di raddrizzarsi. Chi l’ha deciso? Nessuno, è capitato. Forse l’ha deciso la bambina stessa quando ha iniziato ad aggrapparsi a una sedia o a fatto le trazioni afferrando le maniglie dei cassetti. La mamma è dietro, la bambina non può vederla ma può sentirla, eccome se la sente. Ne percepisce bene la presenza, è il suo sostegno, la mamma è una vera impalcatura in grado di sostenere e di dare sicurezza. Il quadro non ha voce e i volti non sono dipinti in modo particolareggiato, ma immaginiamo che da dietro la madre stia sostenendo, oltre che con le braccia, anche con la voce; non è tanto quello che dice che dà coraggio e sostegno, è come lo dice, il messaggio è nel suono della sua voce, perché è in quella melodia che la bambina capisce le intenzioni di sua madre. Dal suono capisce che la mamma è lì per lei; è quella voce a informarla che può farcela; lei si fida di se stessa perché la madre si fida di lei (e viceversa). È da questo sostegno fisico e verbale che nasce il coraggio di partire. Ogni passo è una caduta interrotta. Il coraggio del primo passo richiede una motivazione impensabile, e solo partendo da una base sicura è possibile andare. Il primo passo è verso il vuoto, verso il mondo là davanti, ma non mi staccherei mai dalla boa sicura se non fossi certo che lei resta lì vicino, pronta a riprendermi nelle sue braccia.

È la certezza dell’amore a permettere di osare l’impensabile.



Ma partire per andare dove? Se nessuno mi chiama non ha senso andare. Per definire una partenza mi serve un arrivo. Se parto e mi stacco, dove cado? In quali braccia approdo? È adesso che il padre diventa indispensabile: solo con una chiamata dal mondo il bambino può accettare di lasciare il grembo materno. Fino ad ora la bambina aveva vissuto legata alla mamma, nella sua pancia prima, attaccata al seno poi, quindi a distanza ravvicinata, ma mai del tutto separata. Qui adesso qualcuno mi cerca e mi chiama, ma non è uno sconosciuto minaccioso, è il papà, quello forte, quello che la mamma ammira e bacia. È quello che mi fa ridere e giocare, quello che dopo la mamma amo di più al mondo. Mi chiama, posso andare? Certo, è la mamma con la sua bella voce che mi dice di andare. Lui mi chiama e lei mi invita a partire. È perfetto, c’è tutto. È quasi un passo obbligato.

Non è possibile resistere a una sinergia che è quasi un’alchimia.

Il padre da parte sua non ha studiato, ma l’istinto gli suggerisce di chinarsi, di abbassarsi al livello della bambina, in maniera che i loro occhi possano incrociarsi con facilità. È la maniera per aumentare l’attrazione: se poi apre le braccia non è possibile resistergli. Occorre che il padre sia disponibile, in sintonia con la bambina da attrarre a sé e con la mamma che fa partire l’azione. Qui il padre deve esserci, fisicamente. Deve interrompere il proprio lavoro, mettere giù la vanga. Aver dipinto quella vanga in terra è molto importante, occorre rendere visibile la sospensione del lavoro, e quella vanga è uno dei protagonisti del quadro: dopo la mamma, la bambina e il papà, c’è la vanga in terra. Quell’attrezzo pochi minuti prima era nelle mani del contadino e fra pochi minuti tornerà a funzionare. È per un breve lasso di tempo che la vanga resta a terra improduttiva, ma è un momento che vale ore, giorni, anni, perché in quel breve momento sono racchiuse tutte le camminate che quella bambina farà per il resto della sua vita, anche quando i suoi genitori non ci saranno più. Allora il padre deve saper cogliere il momento, deve avere la saggezza, l’umiltà, l’intuito e il coraggio di sapersi fermare, di saper rinunciare, perché quel momento rischia di non tornare più, e quando tornerà non sarà più lo stesso.

La paternità è una vanga a terra per pochi minuti. Il nostro amico contadino passa giornate intere, lunghi mesi con la sua vanga tra le mani, ma sa quando occorre posarla. È una saggezza che non si studia, che viene dal rispetto della natura e dei suoi tempi. Ciò che rende tutto più facile e immediato è la sinergia tra i genitori: la madre ha chiamato e il padre ha prontamente risposto. È questa armonia e coerenza a impedire errori e fallimenti. Una coppia che riesce a evitare i conflitti (almeno quelli importanti) è il segreto per crescere figli sani e sicuri di sé. Gli studi sulla co-genitorialità ci informano che una sufficiente armonia di coppia produce effetti positivi sullo sviluppo e sul controllo emotivo e cognitivo dei figli, con conseguenze anche sul periodo adolescenziale e l’età matura. Padri precocemente coinvolti nell’accudimento, in caso di separazione, mantengono negli anni successivi maggiore coinvolgimento e senso di responsabilità per la crescita dei figli. È stato anche dimostrato che se la coppia è sufficientemente sinergica e vive bassi livelli di conflittualità e antagonismo, la crescita di figli con temperamento difficile è significativamente più agevole. Queste ricerche dovrebbero indurre a investire maggiormente sulle politiche per la famiglia e sul sostegno alla genitorialità, con particolare cura all’affettività di coppia fin dai primi mesi dopo la nascita di un figlio.

Questo bel quadro, che sembra rappresentare un normale momento di vita famigliare, in realtà racchiude in sé valori importanti per lo sviluppo neuroevolutivo di un bambino. Sono le esperienze più semplici a produrre gli effetti più importanti.  la quotidianità, con i suoi ritmi e i suoi riti (pasto, sonno, gioco, passeggiate), condivisi con un adulto sensibile, a indurre lo sviluppo precoce del nostro cervello. Oggi sappiamo che dei 100 miliardi di neuroni con i quali nasciamo, quasi la metà vengono eliminati (“potati”) e ognuna di queste cellule inizia subito a creare connessioni multiple con le altre (fino a 10 mila sinapsi per ogni neurone); questo enorme albero di collegamenti non ha una maturazione geneticamente predefinita, ma si realizza in base alle esperienze precoci. Quindi non è vero che “siamo fatti così”: noi siamo quello che abbiamo vissuto. In questo quadro c’è molto di più di un semplice “primo passo”.


di Alessandro Volta
Pediatra neonatologo, autore di Neopapà è facile e L’allattamento spiegato ai papà.

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