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Decreto “Caivano”: l’homeschooling non è in pericolo

Negli ultimi giorni il mondo homeschooler è stato attraversato da una turbolenza di elevata intensità: il grado non elevato di chiarezza con cui vengono fornite le notizie dalla fonte, la loro diffusione, a volte superficiale, e la percezione che se ne ricava generano fraintendimenti e inutili allarmismi. Si è infatti paventato il carcere per “chi non manda i figli a scuola”. Ma l’accento non è posto sull’homeschooling.
Un articolo di Nunzia Vezzola, docente e socia fondatrice di LAIF, per fare chiarezza sull’argomento.

Cos’è successo nella sostanza?

Il Consiglio dei Ministri avrebbe recentemente predisposto un decreto che pare introdurre pene severe in molte situazioni legate all’educazione e alla gestione dei figli minorenni, ufficialmente per contrastare la criminalità minorile. In particolare, sarebbe stata introdotta la detenzione fino a due anni per i genitori che non assolvono al dovere di istruzione (“dispersione assoluta”, nelle parole del Ministro Nordio).
Peccato che nella traduzione mediatica, il dovere di istruzione sia diventato “obbligo scolastico” e che l’istruzione sia stata confusa con la frequenza della scuola. Ma in Italia l’obbligo scolastico non esiste, esiste il dovere di istruzione. E a questo si può adempiere sia tramite l’iscrizione a scuola, sia mediante l’homeschooling o istruzione parentale.

Si può continuare a fare homeschooling?

Da quello che è dato sapere al momento, non è certo l’homeschooling a essere messo in discussione. L’istruzione parentale è, e rimane, una pratica assolutamente legale: è garantita dalla Costituzione della Repubblica italiana (artt. 30, 31, 33, 34) ed è regolamentata da diverse leggi, anche recenti. È inoltre una modalità di istruzione ben radicata nella nostra tradizione nazionale, fino dall’unità d’Italia e a oggi è praticata da migliaia di famiglie nei diversi cicli di istruzione.
Il Decreto “Caivano” non mette a rischio l’homeschooling, ma punisce i casi di privazione del diritto all’istruzione. Non è il “mandare i figli a scuola” che conta, ma il fatto di impartire un’istruzione o di accompagnarli consapevolmente in un percorso personale di apprendimento. Il Decreto interviene quindi in quei casi in cui i minorenni non hanno accesso all’istruzione per negligenza dei genitori, o di chi ne fa le veci: quando i ragazzini iscritti a scuola in realtà non frequentano, oppure quando interrompono la scuola prima dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (prima dei 16 anni di età e dei 10 anni di istruzione), non avviano e non sono impegnati in un percorso di istruzione parentale.
O ancora, da quel che si capisce allo stato attuale delle cose, i genitori sono passibili di pene severe quando i figli minorenni non sono né iscritti a scuola, né hanno fatto la comunicazione annuale prevista per la pratica dell’istruzione parentale. Ma se invece c’è una dichiarazione di istruzione parentale regolare nella sostanza e nella forma (scadenze, destinatario ecc.) e se l’istruzione viene effettivamente impartita, i genitori non si trovano in una situazione riconducibile alla “dispersione assoluta”.

Cambia qualcosa nella pratica dell’homeschooling?

Naturalmente, la parola definitiva si potrà dire soltanto dopo aver letto il testo integrale della legge.
Ma il Decreto “Caivano” non sembra introdurre nuovi obblighi. Le norme che regolano l’istruzione parentale pare siano rimaste invariate.

L’iscrizione a scuola non è dovuta

Non è escluso che qualche funzionario zelante insista nel richiederla, magari proprio prendendo spunto dalle traduzioni mediatiche della notizia sul recente decreto. Come al solito, alla famiglia la scelta: adeguarsi o invece esigere l’applicazione della norma. In homeschooling va fatta solo la comunicazione di istruzione parentale, sia il primo anno, sia a gennaio di ogni anno per il rinnovo.

La situazione degli esami non è cambiata

Non sembrano essere state nemmeno introdotte, almeno da quel si deduce al momento, nuove figure incaricate della vigilanza sul dovere di istruzione e autorizzate a svolgerla: i riferimenti principali per gli homeschooler rimangono il dirigente scolastico del territorio di residenza e il sindaco. Riguardo al ruolo degli assistenti sociali, la recente sentenza della Corte di Cassazione è stata illuminante.
L’unica cosa che può cambiare per gli homeschooler, è la pena in un eventuale caso di inadempienza o di uso strumentale/distorto dell’homeschooling: se per esempio il minorenne non dovesse aver realmente accesso all’istruzione e apprendimento, oppure se l’istruzione parentale dovesse far da paravento a situazioni di abbandono, negligenza, abuso ecc.

Quali consigli si possono dare ora?

È vero che la conferenza stampa del Ministro Nordio in alcuni passaggi può aver dato adito a fraintendimenti, ma allo stato attuale di conoscenza delle cose, si può soltanto raccomandare di proseguire con serenità e consapevolezza nel proprio percorso di istruzione parentale, tenendo sempre a orizzonte le Indicazioni Nazionali e documentando il più possibile le proprie scelte educative e pedagogico-didattiche.
Particolare attenzione dovrà esser posta anche agli aspetti amministrativo-burocratici: le pratiche dovranno essere espletate con la massima precisione e puntualità.
Per questo motivo, sarà utile rimanere aggiornati, partecipare a incontri informativi, leggere ed eventualmente avvalersi di consulenze qualificate.


di Nunzia Vezzola
Autrice, docente di scuola superiore e socia fondatrice di LAIF Associazione Istruzione Famigliare

Un commento

    • Federica Liparoti

    • 7 mesi fa

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    Approfondimenti: https://www.liparoti.legal/

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