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I danni del distanziamento sociale nei bambini

Sono passati otto mesi dal lockdown, i bambini nati all’inizio del periodo di quarantena stanno facendo i primi assaggi di cibo solido. Alcuni cominciano a tirarsi su e gattonare, e per qualcuno c’è l’inserimento al nido.
Nella loro breve vita hanno conosciuto facce mascherate, gente a distanza, odore di disinfettanti. Magari sono stati separati alla nascita dalle loro mamme per molte ore. Hanno dovuto aspettare mesi per incontrare per la prima volta i nonni. Hanno passato gran parte delle giornate, specie nei primi mesi, al chiuso delle loro case.
Enormi limitazioni sono state imposte anche ai bambini più grandi, a quelli che avevano appena iniziato le loro esperienze di socializzazione fuori della famiglia.
La situazione è stata imprevista e nuova, e gestirla nella sua complessità non è stato facile; si è cercato di mantenere l’equilibrio fra le misure di sicurezza e la necessità di non fermare totalmente la vita e l’economia del Paese.
Ma in questo travaglio i bisogni dei bambini sono sempre rimasti per ultimi, come se in fondo fossero delle lavagne su cui fosse possibile scrivere e cancellare qualsiasi tipo di routine, contando sulla loro adattabilità.
Si è sostenuto che questa esperienza non sia stata e non sia traumatica per loro; ma tali affermazioni denotano la scarsa conoscenza dell’importanza del contatto e delle relazioni nel mondo del bambino.
Un bambino ha bisogno soprattutto di contatto fisico: di emozionarsi, di coinvolgersi, di esplorare con le mani e non solo con gli occhi. Ha bisogno di abbracci e carezze.

L’importanza del linguaggio del corpo

Un bambino non è mai isolato, è sempre con qualcun altro: esiste e si percepisce proprio perché non è da solo. Il suo cervello è enormemente plastico, e proprio nei primi anni si tracciano le “strade” dei percorsi neuronali, cioè, detto in parole molto semplificate, il modo di pensare e di sentire. Che vanno insieme, perché nel bambino l’apprendimento viaggia sulle esperienze emotive.
È sull’onda delle emozioni che nelle menti dei più piccoli si tracciano i percorsi del pensiero. Quello che si apprende in questi primi anni, comprese le regole morali ed etiche, si apprende in maniera così profonda che va sottotraccia, non è nemmeno cosciente, e quindi è assorbito in modo acritico.

Un bimbo ha bisogno di vivere le esperienze in modo fisico, corporeo, attraverso la vicinanza e il contatto con altri esseri umani, e quanto più è piccolo tanto più questo bisogno è forte.
Ha bisogno di sviluppare la comprensione delle emozioni degli altri, sviluppare una teoria della mente (i tuoi pensieri e sentimenti sono diversi dai miei) grazie all’osservazione dei segnali corporei non verbali, come la mimica facciale, la distanza fisica, i gesti di contatto, le inflessioni del tono di voce.
La sua competenza sociale e relazionale si costruisce attraverso il tipo di interazione agita e osservata (cioè osservando le interazioni degli adulti intorno a lui).
Occorre comprendere che in una relazione, mentre le parole veicolano soltanto il messaggio in sé, il canale non verbale è quello attraverso il quale passa la comunicazione dei sentimenti e la definizione della relazione stessa, cioè i reciproci ruoli, gli intenti, le rappresentazioni reciproche.

Non verbale è la mimica del viso.
Il neonato è sensibilissimo alle espressioni e naturalmente attirato dal viso umano e il segnale di innesco emozionale positivo è il sorriso dell’adulto: quel sorriso che la mascherina rende invisibile.
Un altro aspetto non verbale importante è la posizione del corpo nello spazio, e cioè il tipo di distanza fra le persone. Nella nostra cultura, la distanza amichevole è quella in cui ci si può toccare allungando un braccio, mentre distanze superiori sono più formali; il distanziamento sociale ha inibito l’intimità e reso formali le interazioni.
Quando un bambino è con l’adulto, e compare un’altra persona che lui non conosce, egli guarda l’adulto per capire se deve allarmarsi o può rilassarsi. Vedendo un’interazione amichevole fra loro, si rassicura.
Quale apprendimento dei segnali sociali e delle regole di relazione può ricavare dall’osservazione di due adulti a viso coperto, le cui voci sono amichevoli ma che sembrano allo stesso tempo tenersi alla larga l’uno dall’altro?

I rischi di un lockdown emozionale

Se togliamo al bambino la dimensione prossimale e gli impediamo la naturale fisicità con cui esplora il mondo materiale e le relazioni con gli altri, potremmo minare la sua capacità empatica, alterando il suo processo di socializzazione in modi che ancora non possiamo misurare appieno.

Per esempio, è ben possibile indurre fobie da contatto, spingere all’isolamento e alla diffidenza. Se la naturale esuberanza dei bambini viene inibita, se si bloccano gli slanci affettuosi verso i coetanei, se si impedisce loro l’esplorazione tattile, i loro bisogni di attività, contatto e contenimento resteranno inappagati e inconsci.
I bambini vengono incoraggiati a convogliare l’attenzione, l’investimento affettivo e l’interesse verso gli schermi (TV, computer, cellulari) e verso oggetti inanimati. In una parola, non si fa che accentuare quell’atteggiamento narcisistico che purtroppo è già presente e già incoraggiato da anni nella nostra società.
L’impronta ricevuta in questi mesi, attraverso il tipo di esperienza sensoriale ed emotiva, nonché indirettamente ricevuta osservando gli adulti (che il bambino è naturalmente portato a imitare) non sarà facilmente superabile.

I bisogni di intimità, contatto, relazione sociale dei bambini non scompaiono soltanto perché non vengono praticati. Eccedere nelle misure di contenimento nei confronti dei più piccoli rischia di plasmarli in un apparente adattamento, ma con paure profonde e uno strisciante “analfabetismo” sociale e affettivo.
Vanno urgentemente presi in considerazione gli appelli di tutti i professionisti della salute mentale e di coloro che si occupano di infanzia, e che da mesi ormai vanno avvertendo che la situazione per i bambini è una questione di radicale importanza per il loro sviluppo affettivo.
I bambini non sono l’elemento critico di questa epidemia, e non si capisce perché debbano pagare un prezzo che non si è preteso da nessuna altra categoria di individui; dobbiamo cominciare da subito a concepire e pianificare programmi di recupero, di compensazione e di alfabetizzazione affettiva, e trovare modi di garantire ai bambini ciò che è stato fatto troppo a lungo mancare loro, a beneficio della società del futuro, oltre che del benessere e della salute psichica individuale.


di Antonella Sagone
Psicologa in area perinatale, formatrice e consulente professionale in allattamento IBCLC.

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