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Aborto terapeutico: quando al dolore si aggiunge altro dolore

aborto terapeutico doloreDa ostetrica, Rachele denuncia la grave mancanza di rispetto, ancor prima che di professionalità, subita da una coppia al culmine dell’esperienza dolorosa di un’interruzione di gravidanza.

Sara e Luigi (i nomi sono fittizi) sono due ragazzi che si amano. Si conoscono, si piacciono, s’innamorano. In poco tempo decidono di convivere. In ancor meno tempo, visto che l’orologio biologico gira per entrambi, decidono di mettere su famiglia. Detto, fatto. Aurora è in viaggio. Cresce nel corpo di mamma Sara. Lei va a lavorare e si tocca la pancia. Pancia che è ancora pressoché un mandarino, ma sempre pancia è. Aurora cresce piano piano, nutrendosi dell’amore di Sara e dell’amore di Luigi. Sara è una donna “tutta d’un pezzo”, si diceva una volta: ha un lavoro di enorme responsabilità e non si lascia ingannare dalle foto dolci dei neonati. Sì, lei deve rendersi conto, prima di adattarsi all’idea di Aurora, che questa stia bene. Viviamo nell’era delle gravidanze ipercontrollate: dal momento in cui la donna pensa “Sono incinta!!”, incombono, su di lei, esami di ogni genere: villocentesi, amniocentesi, translucenza nucale… La donna è misurata, pesata, osservata come una farfalla immobilizzata su un tappo di sughero (ricordate l’assurda moda di uccidere così le eleganti dame dei fiori?). Sara è decisa a fare di tutto per capire come sta Aurora. Ma la sua ginecologa non le dice che esiste la villocentesi: esame che si effettua molto presto e che consente di capire meglio come sta la creaturina attesa. Vengono da me che desiderano saperne di più sugli esami preconcezionali: per quale motivo non hanno fatto la villocentesi? La ginecologa è obiettrice, mi dice Sara. Strana come motivazione: se fosse così, perché perdersi in mille ed una ecografia (ricordiamoci che in 9 mesi di gestazione, i ginecologi optano spesso per un’ecografia ogni mese), quando la donna si reca a farsi visitare? Forse per giustificare i 130€ di visita? Se un medico è obiettore dovrebbe fare i controlli per valutare il benessere fetale e materno, non per controllare com’è il feto (ognuno ha la sua opinione, comunque. Io sono un’ostetrica e ringrazio il Cielo di non avere il peso delle ecografie sulle spalle).

Torniamo a Sara e Luigi. Luigi è un amico di lunga data. Vedo che trasuda amore per queste due donne, da ogni poro della sua pelle. Mi chiedono cosa fare, dato che sono stati costretti, a piè pari, a non fare la villocentesi. Rimangono il duo test e l’amniocentesi, spiego loro. Da tanto odio che Sara ha nei confronti degli ospedali, avverte Luigi: “Faccio l’amniocentesi perché abbiamo quarant’anni, ma in un ospedale non partorisco manco morta”. Ridiamo insieme e le prometto un’assistenza domiciliare coi contro fiocchi!!! Ci salutiamo. Sara e Luigi sono decisi a fare l’amniocentesi perché soli al mondo: entrambi non hanno genitori che possano aiutarli e, razionalmente, non se la sentono di mettere al mondo una creatura che la nostra società non accetta. Discutibile? Certo. Voi non lo fareste mai? Può darsi. Condannarli per questo ragionamento? No. Sara e Luigi sono una coppia pragmatica e atea: così hanno deciso e così faranno. Da ostetrica mi sento di dire loro di pensare bene al fatto che, quando si compiono delle indagini, nel momento in cui si prospetta una scelta da compiere si deve pensare anche alla soluzione.

Loro sono certi e sicuri.

Passano le settimane. Io sono in viaggio per Milano quando Luigi mi telefona in lacrime: “Le malformazioni sono tante, troppe… siamo in clinica a stimolare il parto“. Ci penso un attimo: no, non può essere! Luigi mi chiede conforto telefonico. A Sara è stato stimolato il parto con prostaglandine locali (sul collo dell’utero: si agisce in questo modo per farlo maturare e per poter far sì che la donna partorisca). Sta male, mi dice Luigi. Sono distrutti. Costretti a passare le ore di questo allucinante addio tra i corridoi del reparto di ostetricia, tra mamme pancione e neonati che strillottano qua e là. Luigi chiede una stanza in un altro punto. Non si può, gli viene detto. Il reparto di ginecologia non esiste più: è stato sostituito dagli studi del reparto di Procreazione Assistita mentre le operate ginecologiche sono in Chirurgia. Certo: la procreazione assistita porta più soldi di una disgraziata che deve fare l’aborto terapeutico. Lasciamo stare – penso – le polemiche sterili non aiutano. Luigi è stravolto. Sara sta male: vomita, trema, piange dal dolore. Non può neppure urlare perché è in reparto: le altre donne si spaventano, dice l’infermiera. Luigi mi richiama: non sa se essere disperato o essere davvero arrabbiato. Gli consiglio di pretendere l’epidurale, perché dopo 34 ore di dolori il collo dell’utero non ne vuol sapere di dilatarsi. Lei è forte, mi dice Luigi, non versa una lacrima, ma non ce la fa più: vuole morire, si sta maledicendo. Viene trasferita nelle sale travaglio dove, manco a dirlo, dolci creature stanno venendo alla luce. Un medico le fa dire tramite l’ostetrica di turno (“L’unica a esser stata gentile”) che ha chiamato l’anestesista per l’epidurale. Anche l’anestesista non gradisce ciò che Sara sta facendo e le fa la peridurale allontanado Luigi che la sente piangere. Quando richiede le dosi successive, il medico viene nella sala travaglio senza neppure chiederle come sta. Mentre Luigi e Sara si abbracciano, si baciano e le loro labbra si sfiorano sentendo il sapore salato delle lacrime, si promettono sostegno reciproco. Luigi ogni tanto esce per telefonarmi e per fumare come un turco. Parla con me, si sfoga, bestemmia e dice “Me la pagheranno per come ci stanno trattando”. È sveglio da 48 ore e ringrazia il fatto che, con la peridurale, Sara riesca a riposarsi.

Aurora nasce ed è già morta da tempo, dice l’ostetrica. Il passaggio più duro è la sala operatoria per togliere la placenta. Luigi scorta la barella con Sara addormentata. Sul suo viso ci sono lacrime secche. Tanto per gradire la riportano in ostetricia. Lei si sveglia impastata dall’anestesia. Sente un neonato piangere. Nel dormiveglia non capisce cosa sia accaduto. S’immagina un cesareo e, sorridente, dice a Luigi: “Com’è? Bella?” Poi la realtà le ripiomba addosso. Sono stravolti entrambi. Durante la dimissione sono in medicheria. Sulla cartella clinica c’è scritto Aurora Rossi (cognome fittizio). Entra un medico che, vedendola, retrocede e, senza guardarla negli occhi dice: “Non voglio dividere la stanza con certe persone” (detto da un medico che ha abbandonato moglie e figli per un’infermiera venticinquenne ci sarebbe da chiedersi chi, in realtà, si vergogni di dividere lo spazio con chi…) Sara e Luigi escono dalla clinica. Aurora, forse, è morta non per colpa loro. Questo è l’unico velo di speranza al quale si aggrappano per respirare. Io torno da Milano e ci vediamo insieme alla psicologa dello studio dove lavoro. Iniziamo il sostegno. Quando ci raccontano quest’esperienza piangiamo entrambe. Non ce la facciamo a trattenerci. Poco professionale? Chissenefrega, mi dico io. Sono poco professionale io che piango vergognandomi di far parte di quei sanitari che hanno trattato come ladri o assassini Luigi e Sara o si devono vergognare i colleghi? Sara è forte. Luigi meno, ma si sostengono a vicenda. La cartella clinica di Aurora è lì. Aurora è lì. Non andrà mai via. Ho rivisto entrambi dopo 4 mesi. Sara sta meglio, anche se non vuole riprovare a rimanere incinta una seconda volta, per ora. La consolazione di Luigi è che, per come sta diventando il mondo, forse è meglio così. Tutt’ora mi chiedo: che potere di giudizio abbiamo nei confronti delle persone? Pensiamo mai alla trave nei nostri occhi, prima vi vedere la pagliuzza in quelli altrui?

Rachele

Il tema dell’aborto, e del dolore legato alla morte perinatale, sono affrontati nel bellissimo libro di Giorgia Cozza Quando l’attesa si interrompe

Commenti (8)

    • Sara

    • 14 anni fa

    Ho letto questo racconto con le lacrime agli occhi. Posso solo immaginare il dolore vissuto da questa coppia: spero che riescano a trovare la forza per superare questo momento e per riprovare a cercare un altro bambino.

    • Paola

    • 14 anni fa

    Nell”aprile di quest”anno ho rinunciato alla mia terza bimba per lo stesso motivo di Sara e Luigi. Penso a lei ogni giorno, chiedendomi se quella fatta è stata la scelta giusta. Da qualche parte so che è così, ma la grandezza del vuoto che lei ha lasciato ha un senso che sfugge persino a me, la proprietaria della pancia in questione. Il giudizio di chi non conosce questo vuoto non ha valore alcuno.

    • sara b.

    • 14 anni fa

    perchè imedici si comportano così?
    sono allibita, è tristissimo. orribile. perdere un figlio è il dolore piu” grande che esista.

    • Francesco

    • 14 anni fa

    None esistono scelte giuste o sbagliate ma soltanto scelte…la coppia ha fatto una scelta, l”ostetrica amica ha fatto una scelta, così come il personale sanitario…l”unica scelta che non è stata fatta, è quella da parte del nascituro!
    Le coppie che prendono queste decisioni, devono certamente sentirsi liberi di fare le loro scelte ma, altrettanto, devono essere liberi di decidere le altre persone, in questo caso il personale sanitario. Si vive in un mondo dove ci sono persone che pensano A ed altre che pensano B, altre pensano C etc.
    E allora perchè la coppia si è sentita giudicata dal personale sanitario che la pensavo diversamente da loro?
    Forse perchè, in cuor loro, sapevano che l”unico vero giudizio era quello che proveniva dall”interno di loro stessi, dal loro figlio!
    Futile e senza alcun senso, il commento dell”ostetrica riguardo la vita privata del medico, come il riferimento biblico (perchè lei in quel momento che cosa ha fatto? Non ha giudicato???)…ognuno propone e dispone della propria vita come vuole, così come ha fatto la coppia!
    Ossequi

    • Francesca

    • 14 anni fa

    veramente dolorosa questa esperienza e incomprensibile, come dice un commento, da parte di chi non l”ha vissuta.
    Però una cosa va detta: i nostri figli, sani o non sani, non ci appartengono. dal momento del concepimento sono “altro” da noi. non è una questione di fede o altro. è una questione di ragione. il figlio è un dono, non lo creo io, mi è dato, mi è affidato. Perciò, ripeto, sano o non sano, nel momento in cui decido di eliminarlo, perchè mi spiace di questo si tratta, chiamiamo le cose col loro nome, è inevitabile che il male NON della persona, ma dell”azione, ci ripiombi addosso e lasci un vuoto e una tristezza immensa.

    • Chiara

    • 14 anni fa

    Carissimi,ho vissuto due volte questa simile situazione.La prima volta feci anch”io quello che chiamano “aborto terapeutico”,poi ho avuto 3 splendide gravidanze e l”ultima gravidanza ha una storia tutta sua.
    Allego (se ci sta tutta).
    Un abbraccio a tutte le mamme.
    La nascita di Beatrice Edelweiss,14 settimane.

    L’anima di questa piccola creatura iniziò a girare per casa già nel 2007 ma fu solo nel 2010 che ci sentimmo pronti ad accoglierla e decise di diventare presenza viva,proprio durante il solstizio d’estate,tempo per la natura di comparire in tutto il suo splendore.
    Si,era arrivato il momento per un cambiamento e lei fu la testimonianza che era possibile aprirsi ad una nuova vita.
    Il periodo precedente era stato contornato da vari eventi che scombussolarono la mia mente e Beatrice Edelweiss portava con sé certamente questi stati d’animo perché non possiamo separare una vita quando è formata da tre corpi (mamma,papà,nascituro).
    Maturai l’arte dell’ascolto che è fatta a volte di silenzio che è pace e dona leggerezza dell’essere.
    Le giornate proseguivano alimentando in me l’essenza dell’essere Madre con una cura del focolare ,la casa,che non avevo mai avuto in passato:eliminai tutto ciò che faceva parte della mia vita passata ormai superfluo e vecchio. Avevo bisogno di interpretare così un cambiamento. Cercai l’essenzialità in tutte le cose,quasi a testimoniare ,a me stessa e agli altri,che la vita dev’essere vissuta nella sua interezza nelle piccole cose e che la vita va vissuta con consapevolezza e piena realizzazione di se stessi.
    Ricominciai a leggere libri che mi davano ispirazione ,fiducia,risposte alle mie domande di sempre. Mi davano certezze e capii che in ogni donna c’ è una dea nascosta e ,ascoltandomi,potevo valorizzare questa parte di me .
    Il viaggio nelle terre germaniche fu importante perché lì mi fu rivelato il nome e il sesso della creatura che portavo in grembo :Beatrice Edelweiss. Edelweiss,la stella alpina. Quel fiore che non sopporta le alte temperature-avevamo sofferto moltissimo il caldo nei mesi estivi -ma che splende nella natura in tutta la sua luce .E’ un fiore bianco , morbido,delicato.
    Una settimana dopo il rientro scoprimmo che il battito aveva cessato di esserci. Sembrava quasi che io lo sapessi già.
    Arrivai in ospedale dove mi spiegarono ,dopo una interminabile attesa,che era meglio affrontare il travaglio e quindi il parto .Pensai in quel momento al parto attivo e non assistito e mi convinsi,presa da una forza sovrannaturale,che potevo accogliere quella vita ,che potevo farcela. Ero impreparata,non avevo con me le cose che mi portavo al parto…candele,oli,acqua, tisana,musica,pane azzimo. Avevo però me stessa e Alessandro che si rivelò una doula perfetta. Quella presenza silenziosa,forte,che sapeva dosare parole,movimenti,sguardi,attenzioni. Che capiva quando era il momento in cui doveva prendermi la mano e il momento in cui dovevo stare senza essere toccata.
    Iniziai il travaglio con le musiche celtiche -sono riuscita a recuperare la musica-e fu in quel momento in cui gli angeli scesero a prendere il corpo e l’anima della piccola ma grande vita.
    Ascoltai il mio corpo e non volli chiamare nessuno. Ero in grado di vivere piacevolmente e gioiosamente quel momento e non avrei sopportato nessuna interferenza,soprattutto medica tesa a “verifiche cliniche” che nulla servono ad una donna in travaglio se non a perdere coscienza di se stessa e a volte anche fiducia nel proprio corpo.
    Poi lasciai la camera delle puerpere (sì,era lì che mi avevano trovato un letto….proprio come una Madre che sta per partorire. A farmi compagnia c’era una giovane mamma con una piccola creatura che mi donava gioia e pienezza che nelle ore successive aiutai perché forte era la mia necessità di comunicare a quella donna che l’istinto materno e l’ascolto profondo di se stessa le avrebbe dato tutte le risposte che cercava) e arrivai in sala parto. Un cuscino come quello di casa era proprio dietro la mia schiena ed io mi sentivo comunque in un ambiente caldo nonostante fossi in una sala parto che avevano cercato di rendere accogliente-una vasca,una luce soffusa,una musica,una grande palla rosa,un quadro raffigurante mamma e bambino -ma era comunque una sala parto,non certo le mura di casa.
    Ero preparata per il parto,ma non per un parto la cui anima è già salita in cielo.
    Quali erano le differenze?Dovevo comunque muovermi?Oppure non c’era differenza?Stupidamente chiesi ad una giovane ostetrica se il movimento avrebbe giovato alla nascita ma rispose che non c’erano posizioni ma di stare come volevo. Ero immobile tranne le mie mani che si muovevano insieme al ritmo della dolce musica ma poi capii,da sola,che se mi muovevo dolcemente e lasciavo tutti i muscoli rilassati,se mi aprivo alla vita,se aprivo le mani,se respiravo lasciando uscire tutte le tensioni,il corpo che era dentro di me sarebbe sceso aiutato da forze ancestrali. E così fu.
    Con la mia mente viaggiavo e mi trovavo in una spiaggia dalla sabbia grigia. Era pomeriggio e c’era un grande sole e un fuoco acceso. Poi,verso sera,arrivò la luna piena e il fuoco splendeva con tutto il suo calore. Con me ,vicino,immaginavo Marta,la mia bambina ,italiana,ma con il cuore scozzese-questa è un’altra storia di un’altra nascita – c’era Sophia la mia nipote di origini malgasce e c’era Kim,la nostra piccola amica olandese .Era come se loro tre fossero le birthkeeper e danzavano musiche tribali insieme alla tribù Yequana.Di tanto in tanto comparivano Clara ,custode della nascita,e Jacqueline, lothus birther,che pacatamente facevano sentire la loro presenza nell’aria. Ma le parole che ascoltavo nella mia mente erano di Elena,l’ostetrica che illuminò nel 2001 il mio cammino di Mamma.
    Nel momento di massimo piacere –il mio corpo traduceva così questo viaggio- mi prese un attimo di panico. Ero sfinita. Sentii come un colpo dentro di me ,nel ventre.
    Alessandro dolcemente mi strinse la mano ,mi guardò e io dissi in lacrime :”Non ce la faccio più,sono sfinita”.In quel momento arrivò l’ostetrica che,senza controllare nulla, mi guardò negli occhi e mi disse “ora chiamiamo il dottore,vediamo cosa può fare”.
    Le contrazioni continuavano ed io mi ri-immersi in quella grigia sabbia di fianco al mare,guardando le onde che seguivano il ritmo del travaglio. Da una parte mi dicevo che “ solo io posso fare qualcosa” ma poi mi resi conto che non avrei più retto. Avevo paura di sentire il corpo di quella vita che era già salita in cielo.
    Così il medico(guarda caso con sembianze venezuelane come la tribù Yequana) che mi parlava con lo sguardo quasi come se mi capisse pienamente , mi disse :“Va bene,ora la porto in sala operatoria e chiamo l’anestesista. Il feto è sceso,sta per essere espulso”.
    Mi addormentai e mi risvegliai convinta di aver chiesto all’ostetrica di poter vedere la placenta. Era immaginazione,ma io la vidi. Mi fu chiesto –sempre in sogno-se volessi vedere il feto,ma rifiutai. La placenta,simbolo della vita,fu l’ultimo ricordo di questa nascita.
    L’estate,rigogliosa,sta per terminare e le provviste per l’inverno che arriva sono frutto di un’estate che ha saputo donarmi il miglior raccolto.

    Chiara

    • angela

    • 11 anni fa

    ho avuto anche io poco fa una situazione simile e anche se la gente mi vede sorridente, dentro ho in cuore in mille pezzi ed il dolore è talmente forte che a volte mi sento soffocare…io ho 26 anni sono sposata da 2 anni ed io e mio marito volevamo con tutta l’anima il nostro angelo che ora è in cielo…stavamo per ricorrere alla fecondazione assistita e un mese prima di procedere abbiamo avuto la bella notizia, eravamo al settimo cielo, non potevamo avere gioia più grande, ma con la translucenza nucale inizia l’incubo della nostra vita…ci sono state prese 3 misurazioni, tutte diverse tra loro che non ci davano la certezza che il nostro bimbo era sano, il ginecologo ha detto che erano misure in bordenline e che quindi per toglierci ogni dubbio era meglio fare una villocentesi, ma come esame non è stato possibile a causa dei macchinari ospedalieri non funzionanti cosi abbiamo aspettato le 17 settimane e fatto l’amiocentesi, tutto questo il 12 dicembre 2012…abbiamo passato delle feste natalizie orrende…ma purtroppo il cuore di una madre a volte percepisce la verità anche se brutta, tutti mi dicevano che andrà tutto bene, ma in cuor mio qualcosa non mi dava quelle speranze…il 3 gennaio arriva la chiamata dal ginecologo che ci anticipava che il bambino stava bene, era sanissimo ed era maschio, noi eravamo pieni di gioia, finalmente potevamo ritornare a sperare e sognare come sarebbe stato il nostro bimbo, dopo 5giorni infatti abbiamo ordinato la carrozzina con l’entusiasmo alle stelle, ma esattamente dopo una settimana avevo da fare la morfologica e l’incubo riprende, questa volta con la certezza che dovevo interrompere la gravidanza…il ginecologo ha riscontrato al piccolo tante cisti nei reni e ci ha detto che anche se nasceva non poteva vivere più di qualche ora…in una settimana con il cuore a pezzi ho fatto più di 4 visite con la stessa diagnosi…sono stata costretta a fare un parto terapeutico, incontrando sulla mia strada gente orrenda…per fare un aborto terapeutico, superato il terzo mese, c’è bisogno di un certificato psichiatrico che il psichiatra della usl a cui appartengo non mi ha voluto rilasciare perchè gli servivano almeno 4 sedute per certificare il mio malessere e quindi si doveva cautelare dalla legge, ma io tutto quel tempo non ce l’avevo, ormai il bimbo aveva ingerito tutto il liquido amniotico e non avendo i reni funzionanti non lo espelleva, quindi a stento si riusciva a muovere, infatti per il poco spazio anche i piedini stavano diventando torti, solo dio sa ciò che ho passato…paradossalmente una madre vorrebbe sentire sempre il suo piccolo muoversi, ma io ero arrivata al punto di non volerlo più sentire, perchè sapevo che soffriva, stava stretto e mi si stringeva il cuore ogni volte che lo sentivo muovere…cmq sono andata da un altro psichiatra che mi ha rilasciato il certificato e quando mi sono ricoverata, nel momento in cui mi stavo togliendo le robe per mettermi il pigiama ho scoperto che il mio piccolo non c’era più…avevo trovato delle macchie di sangue e da allora non lo sentito più muovere…ha lottato fino alla fine e spero sempre, ogni giorno, ogni ora che lui ora sta bene e possa muoversi liberamente e vederci da lassù….quella notte l’ostetrica di turno era obiettrice, mi dava gli ovuli e mi chiedeva scusa ogni volta, ma lei non me li poteva mettere perchè per lei non avevo nessun diritto di togliere la vita al mio piccolo…sono stata messa in una stanza con mamma che aveva da poco partorito, mi sono trovata con gente che mi chiedeva dove fosse il mio bambino e a che ora avessi partorito, bimbi che piangevano ed io che dovevo dire addio al mio bambino, con i dolori che aumentavano ogni ora, ma nessuno dove mi trovavo poteva capire…dopo 13 ore di travaglio, con la morte nel cuore il mio piccolo è nato…ma non ha visto la luce…era già morto…ne io ne mio marito, che mi è stato accanto sempre e mi ha dato tanta forza, abbiamo avuto il coraggio di vederlo…le uniche persone che l’anno visto sono state mia cognata e mia madre…hanno detto che era bellissimo, un piccolo angelo che sembrava stesse dormendo con i pugni stretti….è stato un incubo e lo è ancora…stiamo riprovanda da 3 mesi ma ancora niente…anche se so che lui non tornerà più….i medici, come la sanità con i suoi servizi dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza…non pensare ad essere obiettori o non mettersi contro la legge ma pensare ad avere un cuore…

    • Valentina

    • 8 anni fa

    Sono vicina a voi mamme solo per poco, per poco lo sono stata anche io….
    Il mo bambino è venuto al mondo e se n’è andato nello stesso momento, il 28 luglio di quest’anno, grande come un uccellino non pesava nemmeno 100 grammi… le due settimane precedenti la nostra scelta di evitargli ogni sofferenza ci hanno visti parlare con tanti medici diversi, ma tutti con la stessa risposta: non c’è speranza per questo bambino, anidramnios totale e nessuna possibilità per lui di sviluppare gli organi necessari alla sopravvivenza… Nelle ecografie già lo si vedeva tutto schiacciato, il mio cuore non poteva reggere un dolore così grande, ma non avevamo scelta. A 16 settimane di gravidanza ho dovuto subire l’induzione del parto, dopo fortunatamente una sola ora di dolori atroci il mio angelo è venuto al mondo, già il suo cuore si era fermato. .. il vuoto che ha lasciato è immenso ed incolmabile, spero stia bene dov’è ora e che il suo cuoricino batta per sempre…

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