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L’empatia può fare la differenza nella crescita di tuo figlio (I parte)

Il primo contributo di una nuova collaboratrice: Giuditta Mastrototaro, pedagogista ed esperta nelle relazioni educative e mamma di quattro figli che da anni si occupa di relazioni familiari e prima infanzia.


Se pensiamo all’educazione di un figlio come a insegnare a rispettare le regole, i valori della famiglia a essere “bravo” e “educato”, allora immaginiamo il bambino come un contenitore vuoto da riempire. Anche le istituzioni scolastiche spesso sono orientate a immettere nell’alunno nozioni, abilità, competenze e apprendimenti.
È davvero questa l’educazione?
Propugniamo l’importanza dell’autonomia, chiediamo ai figli di essere autonomi sì, ma che facciano le cose che decidiamo noi adulti. Questo modello di educazione in cui è l’adulto che insegna e il bambino che impara è sostenuto poi da tutta una serie di pratiche che avvallano i premi e le punizioni, le caramelle e i castighi. Nel mio lavoro di pedagogista vedo che ancora persistono sistemi educativi fondati sul convincere il figlio a fare questo o quello. Tutto ciò vestito dal “lo facciamo per il tuo bene”. In questo modello c’è chi vince e chi perde, chi comanda e chi esegue, chi impone e chi obbedisce, e quando il bambino, il ragazzo o l’alunno non fa quello che vogliamo, noi, gli educatori, siamo assaliti da un senso di rabbia e d’impotenza.

Il potere più grande che possiamo avere non è certo sugli altri, ma su di noi, è questa la grande lezione che la pedagogia basata sull’empatia ci dona ogni giorno. Ecco allora che educare con empatia vuol dire rispettare il proprio sentire e quello dell’altro, vuol dire restituire significato a ciò che ognuno di noi, grande o piccolo, sente dentro di sé, è crescere i propri figli con fiducia, ché loro non sono scatole vuote ma anime profondamente sensibili e portatrici di un grande potere: quello di farci crescere insieme a loro.

Quando invece i comportamenti dei bambini e dei ragazzi possono sembrare ai nostri occhi incomprensibili, è quello il momento per fermarsi a osservare, ad ascoltare senza giudicare, ma lasciandoci la possibilità di non sapere e di non saltare a conclusioni affrettate, perché ogni persona ha sempre un motivo valido per esprimere i suoi no e i suoi dissensi. Il compito di ogni genitore ed educatore è di ascoltarli e creare quell’ambiente accogliente e fertile affinché ogni competenza possa dare frutto.

Educare con empatia vuol dire allora entrare in relazione con i figli, vuol dire arricchirci dell’ascolto di un altro essere umano che è venuto a dirci qualcosa. Diceva Maria Montessori “Guarda c’è un’altra vita, vivi meglio” (Il bambino in famiglia, Garzanti, Milano, 2008, p. 38). Significa provare a metterci nei suoi panni per sentire come lui sente, per vedere come lui vede e per osservare come appare a lui il mondo. Significa superare il concetto che educare voglia dire mettere dentro qualcosa, ma cambiare prospettiva e ascoltare cosa il bambino abbia dentro di sé, per promuovere un clima che lo faciliti a tirare fuori tutto il suo potenziale.

La pedagogia basata sull’empatia ci insegna a essere un altro tipo di adulto, diverso da chi detta le regole o che spiega al bambino cosa debba fare. Un genitore e educatore empatico è invece capace di stare in relazione anche nei disaccordi, che immancabilmente esistono in ogni relazione, perché sa superare i concetti di chi ha ragione e chi ha torto e sa mettersi all’altezza del figlio per rispettare i suoi tempi, essere con lui nelle frustrazioni, senza per forza volerle risolvere al suo posto.

Sempre più spesso mi capita di ascoltare adulti che scoprono che l’autorità, l’educazione fondata sulla paura, man mano che i figli crescono non funziona più e il genitore o l’insegnante si sente frustrato nel non avere più alcuno strumento educativo. La crisi del ruolo educativo è spesso collegata alla crisi degli adulti. Alba Marcoli scrive : “Non è facile però uscire dagli schemi rigidi, sono quelli che sostengono le nostre fragilità: più ci si sente fragili e più si ha bisogno di puntelli solidi per stare in piedi” (La rabbia delle mamme, Mondadori, Milano, 2012, p. 69). La mancanza di ascolto di noi stessi è la fonte delle nostre rigidità e delle nostre ansie, perché questa sordità emotiva ci porta a dire all’altro che è lui che ci fa arrabbiare, è lui che ci rende insoddisfatti. Essere empatico non vuol dire ingoiare i propri sentimenti ma dare loro luce, accoglierli, prendersene cura, solo così sarà più facile farlo anche con le persone che ci stanno accanto. Ecco la rivoluzionaria prospettiva che siamo chiamati a fare come adulti che abbracciano una pedagogia basata sull’empatia: ripartire dall’empatia per noi stessi.

CONTINUA


di Giuditta Mastrototaro
Pedagogista ed esperta nelle relazioni educative, curatrice del sito Pedagogia basata sull’empatia.

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